Bossi vuole il voto a novembre ma per il Cav. i conti con Fini si fanno (prima) in Aula
06 Settembre 2010
Da un lato il Pdl che tiene il punto sull’incompatibilità di Futuro e Libertà, attende Fini alla prova dell’Aula sui punti programmatici ma che seppure evocandolo, tenta di schivare lo scoglio del voto anticipato. Dall’altro la Lega col Senatur e i suoi, sempre più determinati alla prova delle urne. E’ su questo crinale che ad Arcore ieri sera e fino a notte fonda si è ragionato di cosa e come fare.
Al centro del tavolo che ha riunito Berlusconi (con alcuni big del partito) e il Senatur, il discorso di Fini a Mirabello e gli scenari possibili dopo quello che in molti considerano l’ennesimo atto di rottura (pure se non definitiva) da parte del presidente della Camera. Non solo: i leghisti si sarebbero spinti addirittura a ipotizzare una data, molto ravvicinata: 27 e 28 novembre.
Che il Carroccio avesse accelerato sull’idea di elezioni anticipate lo si era capito già domenica sera nella ridda di commenti alla kermesse dei futuristi. Bossi si era detto pessimista sul futuro della legislatura e altrettanto aveva fatto Maroni, tradendo in un certo senso il suo proverbiale ottimismo. Posizioni che nelle fila delle camicie verdi col passare delle ore si sono definite nella consapevolezza che l’unica via per uscire dall’empasse sia quella del voto.
Certo, però, che se si confrontano le parole di oggi con quelle che Bossi aveva pronunciato solo una manciata di giorni fa quando aveva escluso deciso la possibilità di tornare davanti agli elettori, appare piuttosto strana la nuova spinta del Carroccio. Anche se, fanno notare nei ranghi della maggioranza, così strana poi non è perché la Lega punta a trarre vantaggio – elettorale – dalla “Guerra dei Roses”, alias Fini-Berlusconi. E sa perfettamente – è il ragionamento – che prima si vota, meglio è. Da questo punto di vista non è escluso che i leghisti "usino" il federalismo fiscale come l’ultimo avviso ai naviganti, l’ultimo test sulla compattezza della maggioranza.
Anche sul fronte pidiellino c’è la stessa consapevolezza ma percorso, approccio e metodologia sono diversi. Se ci sarà lo show down, questo dovrà avvenire prima in Parlamento e solo dopo la verifica dell’esistenza o meno di una maggioranza.
Perché, per dirla con Gaetano Quagliariello, i finiani “non possono stare al governo e all’opposizione”. E’ il momento della chiarezza che va dimostrata nell’unico luogo deputato: il Parlamento, dove Fini è atteso alla prova del nove, a quella lealtà al governo e alla maggiorana che ancora domenica propagandava dal palco di Mirabello. Il percorso è tracciato ed è lineare secondo l’analisi del vicepresidente dei senatori che ieri a Frascati ha inaugurato la quinta edizione della Summer School, la scuola di alta formazione politica promossa dalla Fondazione Magna Carta e dall’Associazione Italia Protagonista presieduta dal capogruppo del Pdl a Palazzo Madama Maurizio Gasparri.
Per Quagliariello il Pdl andrà in Aula col documento programmatico (i cinque punti del patto di legislatura) tradotto in una mozione, e sarà in Parlamento che il premier parlerà al Paese. Seguirà un dibattito, ampio e articolato, il legittimo spazio alla replica poi il voto che “non potrà essere un atto formale” bensì un passaggio vincolante da qui alla scadenza naturale della legislatura. Per Quagliariello "non si può pretendere che il Pdl esista solo quando fa comodo. Soprattutto, non si può chiedere un rinnovato patto di legislatura e poi su un tavolo parallelo aprire a una coalizione più ampia per cambiare le regole del gioco”.
Da parte del Pdl resta la disponibilità ad accordi per portare a compimento la legislatura ma la conditio sine qua non è solo una: si governa se c’è una maggioranza vera. Se non c’è, si torni di fronte al popolo sovrano nel più breve possibile”. Gasparri non è sorpreso dal cambio di passo del suo ex leader ma al tempo stesso osserva come in Fli ci sia “una situazione molto complessa, per cui Fini è costretto a sovraesporsi. Pur essendo il presidente della Camera, a Mirabello ha fatto un vero e proprio comizio, una cosa che non aveva mai fatto in altre occasioni, da ultimo nella difficile campagna elettorale per le regionali anche per un suo candidato come la Polverini”.
Il riferimento alle divisioni interne ai futuristi è palese ed è su questo tasto che i berlusconiani intendono giocare fino in fondo le loro carte. Al pressing della Lega il Cav. avrebbe risposto illustrando i nodi sul tavolo rispetto a un percorso elettorale a breve termine. Primo fra tutti la posizione del Colle sullo scioglimento delle Camere entro la fine dell’anno.
Da Arcore non uscirà la linea definitiva del confronto Pdl-Lega, probabilmente ci vorranno altre riunioni per mettere a punto una road map condivisa. E’ su questo che adesso si lavora per evitare che una simile forzatura non si traduca in un boomerang, specie per i numeri non certissimi che potrebbero saltare fuori al Senato.
Non a caso, uscendo dal summit Cicchitto ha ripetuto che lo show down dovrà accadere in Aula, non prima. Dunque se il Cav. ribadisce di non essere disposto a farsi cucinare a fuoco lento, intende comunque completare tutti i tentavi prima di far saltare il banco.
La via per scongiurare il voto ha spazi ridottissimi e il margine sono quei finiani “moderati” ai quali il premier si è rivolto più volte richiamandoli al senso di responsabilità e soprattutto al rispetto del mandato elettorale.
Il rischio maggiore per il Pdl – si ragiona ai piani alti del partito – è il voto a marzo: in molti infatti ritengono che arrivare in primavera col lavorìo ai fianchi dei finiani (in parlamento e sui media) sarebbe un prezzo troppo alto da pagare.
Insomma, se voto deve essere, prima è meglio è. Ma solo dopo il passaggio alle Camere, quando il voto dirà se la legislatura ha ancora ragione d’essere o no. E chi ha usato l’accetta per spezzarla.