Bosusco ha finito la “vacanza”. Bene. Ora il governo risolva il caso Marò

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Bosusco ha finito la “vacanza”. Bene. Ora il governo risolva il caso Marò

13 Aprile 2012

Finalmente la diplomazia italiana potrà tornare a occuparsi di cose serie, in primis dei due Marò ancora nelle carceri keraliane di Trivandrum da trentanove giorni a questa parte. Ieri è finita la vicenda degli altri italiani rapiti nello Stato indiano dell’Orissa. Alla fine, infatti, anche l’ultimo degli ostaggi ancora prigioniero, Angelo Bosusco, la guida dell’agenzia turismo-avventura di Puri sequestrato da bande armate maoiste presenti nella foresta di Soroda assieme a due trasportatori locali e il turista italiano Claudio Colangelo lo scorso 14 Marzo, è stato rilasciato.

Appena messo di fronte ai microfoni, l’italiano dall’aria un po’ fricchettona – capello lungo, viso scavato e medaglione al collo e che da diciannove anni vive in India – non ha trovato meglio da dire al Tg1 che la prigionia per lui è stata “una vacanza pagata”. Altro che sindrome di Stoccolma! Una perla di saggezza da ricordare e da annotare, roba da lasciarcelo in vacanza pagata. Molto dimagrito (ha contratto la malaria due volte nei ventotto giorni di prigionia), Bosusco verrà molto probabilmente rimpatriato a breve in Italia dove lo attende la sua famiglia.

Un successo che rende forse una nuova verginità mediatica al ministro degli esteri Giulio Terzi il quale ha subito dichiarato che la diplomazia italiana ha lavorato “per garantire l’incolumità” degli ostaggi. Se è più che lecita la soddisfazione del vertice della Farnesina per il buon esito dell’operazione Bosusco&co., il successo però non cancella d’emblée tutti i dubbi sulla gestione dell’altra partita, ben più complessa, che il governo italiano, con il sottosegretario Staffan De Mistura, sta giocando in India: quella della detenzione dei due Marò indiziati nella morte dei due pescatori indiani sul peschereccio St. Anthony.

Le due vicende, purtroppo, si sono sovrapposte e non è ncessariamente una buona notizia. Lo zelo dimostrato dal governo di Bhubaneswar in Orissa, magari sotto pressione politica di New Delhi, nell’accogliere tutte le richieste dei maoisti pur di risolvere la vicenda (si ricordi che il governatore dell’Orissa è un uomo del National Congress, il partito guidato da Sonia Gandhi che sostiene l’attuale premier indiano Singh, lo stesso che dopo l’incontro con il premier Monti a Seoul si era dichiarato favorevole a interessarsi al caso ostaggi italiani) potrebbe anche significare che il governo centrale indiano abbia voluto mostrarsi flessibile sul fronte Orissa, per compensare la propria rigidità, o la propria impossibilità ad agire, in Kerala nel caso Marò.

Dunque, per quanto paradossale possa sembrare, la liberazione di Bosusco e la fine della sua “vacanza” non è necessariamente una buona notizia per la diplomazia italiana impigliata in un braccio di ferro con le autorità in Kerala. Come ha fatto notare ‘con la pancia’ un nostro commentatore alla notizia del rilascio di Bosusco, “a noi interessa che si parli di più dei Marò. A questo signore [Bosusco, ndr.] di andare lì non lo ha chiesto nessuno, ai Marò è stato comandato. Non è poi tanto difficile da comprendere!”. Brutale si dirà. Ma l’argomento non è affatto sbagliato.

Il governo italiano infatti non ha alcun obbligo giuridico (politico, forse sì) a spendersi – e a spendere denari pubblici – per tirare fuori dai pasticci propri connazionali che fanno scampagnate in posti pericolosi. Mentre nel caso di agenti del proprio Stato, e i due Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone lo sono a tutti gli effetti, quell’obbligo c’è tutto. Per questo la sovrapposizione mediatica e politica tra i casi Bosusco-maoisti e Marò-pescatori indiani è perniciosa.  Sono due casi distinti che meriterebbero due diverse valutazioni.

Inoltre, nelle dichiarazioni a caldo dei funzionari della diplomazia italiana, ci pare sia mancato qualche meritato rimprovero a Bosusco, un uomo che sapeva benissimo dell’esistenza di bande armate nell’area della gita avventurosa. Non una singola redarguizione, di quelle a freddo, quando il peggio è passato. Niente. E su questo fronte di buoni esempi ve ne sono molti. Come dimenticare il rapimento di cinque civili giapponesi in Iraq nel 2004. Il governo del Giappone aveva sconsigliato ai civili di stare in Iraq.

Il governo di Tokyo si spese per far liberare i rapiti e vi riuscì. Ma una volta tornati in patria, le autorità pretesero che parte delle spese di rimpatrio venissero rimborsate dai sequestrati, i quali inoltre furono ‘invitati’ a scusarsi pubblicamente per aver trasgredito alle indicazioni del proprio governo. Invece di dirsi soddisfatti, alla Farnesina tirino le orecchie a Bosusco e si impegnino a tira fuori dai guai i due militari italiani.