Brancher va in fuori gioco ma Napolitano fa due autogol

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Brancher va in fuori gioco ma Napolitano fa due autogol

26 Giugno 2010

La vicenda “Brancher” può suscitare dubbi politici più che legittimi. La sua nomina frettolosa e sciatta, le deleghe cambiate in corsa, lo scarso coordinamento con la Lega e infine l’automatico e irriflesso ricorso al “legittimo impedimento”, hanno trasformato una mossa che poteva costituire un elemento di rilancio dell’azione di governo in un pasticcio autolesionista.

Ma appunto, si tratta di dubbi interamente politici: mostrano mancanza di lucidità e di prospettiva in chi ha nesso in moto l’operazione, lo scarso autocontrollo e la poca “furbizia” dello stesso Brancher e una gestione troppo “avvocatesca” (come spesso accade dalle parti di Forza Italia) di un delicato passaggio politico.

A Brancher e a chi lo consigliava doveva bastare la plateale scommessa di Di Pietro che pronosticava il ricorso al legittimo impedimento fin dalla prima udienza utile, per decidere diversamente. Non foss’altro che per il gusto di smentire Di Pietro e fargli perdere la sua scommessa.

Si tratta di colpe non veniali, che il dibattito pubblico e le forze politiche hanno tutto il diritto di mettere in luce e di chiederne ragione. Quello di cui invece non si sentiva affatto il bisogno era di un intervento del Capo dello Stato. La nota di Napolitano sul “caso Brancher” ha costituito una doppia invasione di campo: la prima sul terreno della politica dove non spetta al presidente della Repubblica valutare gli effettivi impegni di un ministro, tanto meno nei termini bruschi e liquidatori usati da Napolitano nella sua nota; la seconda sul versante giudiziario ove, vigendo ormai la legge che prevede il legittimo impedimento (piaccia o non piaccia è ormai legge dello Stato), spetta ai giudici del procedimento e non al Capo dello Stato valutare la congruenza della richiesta.

L’irritazione di Napolitano per il modo goffo e poco accorto con cui Brancher si è prestamente avvalso delle sue nuove prerogative ministeriali può essere comprensibile, ma tradurla in una nota ufficiale è un passo azzardato fuori dal recinto costituzionale che compete alla sua carica.

Con questo precedente in campo, per di più, Napolitano si è messo nella sgradevolissima situazione di poter essere trascinato per la giacchetta ogniqualvolta un ministro o il presidente del Consiglio si troveranno nella condizione di far ricorso al legittimo impedimento. L’opposizione, d’ora in poi, pretenderà da lui altrettanta prontezza e severità di giudizio in occasioni simili e avrà buon gioco nell’attribuirgli peccaminose complicità in caso di distrazione.

Sostenere, come ha fatto Napolitano, che un ministro senza portafoglio non ha un bel niente da fare, suona fortemente irrispettoso verso il governo nel suo complesso e i particolare verso quella categoria di ministri. Non risulta infatti che la legge sul legittimo impedimento (ripetiamo, piaccia o non piaccia ormai è legge) faccia differenza di “portafoglio” per consentirne l’applicazione.

Con tutto il rispetto che gli si deve e anche per l’ammirazione che spesso questo giornale gli ha riservato, ci sentiamo di dire che in questo frangente Napolitano ha tradito il suo ruolo di arbitro, ed è invece entrato in campo, anzi in due campi  contemporaneamente, quello politico e quello giudiziario. Facendo autogol in entrambe le partite.