Brown propone un tipo di cittadinanza che potrebbe interessare anche noi

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Brown propone un tipo di cittadinanza che potrebbe interessare anche noi

18 Novembre 2009

Vi invito a leggere con attenzione il bel discorso che il primo ministro britannico, Gordon Brown, ha pronunciato il 12 novembre scorso a Ealing sul tema dell’immigrazione. Ci siamo accollati il costo e la fatica di tradurlo perché ci è parso particolarmente significativo e in sintonia con le proposte che la Fondazione Magna Carta e per sua parte l’Occidentale, hanno elaborato sul tema.

Brown infatti lancia due concetti rivoluzionari per le politiche migratorie inglesi: la trasformazione delle quote di ingresso in un sistema a punti (Based Points System), che deve servire sia a stabilire di quali e quanti immigrati ha bisogno il paese e il suo sistema produttivo, sia a regolare il percorso di coloro che vogliono ottenere la cittadinanza inglese. Il secondo punto della riforma infatti prevede lo status della “cittadinanza in prova” (probationary citizenship).

Ecco come lo spiega lo stesso Brown: "Il diritto di fermarsi permanentemente non seguirà più automaticamente dal fatto di aver vissuto qui per un certo numero di anni. Invece, come abbiamo spiegato, dopo aver vissuto qui per cinque anni, un immigrato deve segnalarsi come “cittadino in prova”, e a quel punto sosterrà un test a punti che indagherà sulla continuazione del suo contributo economico, sulle sue capacità, sui suoi progressi in inglese e sulle sue conoscenze della vita in Gran Bretagna".

Non solo, il cittadino “in prova” non potrà più godere di tutti i diritti sociali che erano disponibili per gli immigrati appena arrivati (case popolari, istruzione, ecc) , ma ne potrà usufruire solo a prova superata. Dice infatti Brown: “la nostra è una società che dà qualcosa in cambio di qualcosa, e nulla in cambio di nulla. Qualche tempo fa potevamo forse assumere che la gente accettasse spontaneamente diritti e doveri. Ma in un mondo che cambia rapidamente è vitale per la coesione della nazione che tutti coloro che vivono in Gran Bretagna sottoscrivano esplicitamente i doveri che derivano dal far parte di una determinata comunità. Quindi, nell’interesse della giustizia, una condizione per entrare nella nostra casa, nella famiglia britannica, deve essere l’impegno di preservare tutto il meglio del paese che amiamo. I valori britannici, per noi, non sono un optional, un lusso di cui si possa fare a meno. Coloro che desiderano venire nel nostro paese devono abbracciarli senza riserve e con orgoglio, come noi”.

E i punti per conseguire la cittadinanza si possono ottenere ma anche perdere: l’integrazione nella propria comunità, un lavoro apprezzato, impegni di volontariato, una famiglia stabile con figli che vanno a scuola, porta punti; piccoli reati, disoccupazione prolungata, mancata integrazione, scarsa conoscenza della lingua, tolgono punti. Alla fine del percorso, se i punti non sono sufficienti, la pratica viene chiusa e l’immigrato rispedito a casa.

Il discorso di Brown è interessante anche per molti altri aspetti: come fare in modo che gli immigrati non tolgano occasioni di lavoro ai cittadini inglesi, come meglio contrastare l’immigrazione clandestina, e molto altro. Vale la pena leggerlo fino in fondo.

Si tratta di un discorso lucido, non propagandistico, che affronta con il principio di realtà uno dei più grandi problemi della nostra epoca cercando di far corrispondere problemi e soluzioni. Non c’è niente di vacuo nel tono del premier inglese, non parla per piacere e neppure per spaventare, ma per risolvere e governare. Come dimostra l’incipit del suo discorso: “Non sono mai stato d’accordo con la pigrizia delle elite, che nega importanza a questo tema, o dipinge come un razzista chiunque esprima dei timori o sollevi dubbi sull’immigrazione”.