Brown riunisce a Londra le diplomazie senza avere un progetto sullo Yemen

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Brown riunisce a Londra le diplomazie senza avere un progetto sullo Yemen

28 Gennaio 2010

Londra è capitale diplomatica per 48 ore. Afghanistan e Yemen sono i due scenari al centro della conferenza internazionale in corso in Gran Bretagna. Ieri sul tavolo della “mini-conferenza” – a cui partecipano 21 paesi tra cui Usa, Ue, e le nazioni del "Consiglio di cooperazione del Golfo" (Ccg) – c’è stata la questione dell’assistenza allo Yemen nella lotta al terrorismo. Il fallito attentato di Natale contro il volo Delta Airlines, per mano di uno studente nigeriano addestrato nelle basi qaediste yemenite, ha messo il Paese arabico al centro dell’attenzione internazionale.

Il summit – voluto fortemente dal premier Gordon Brown – ha come obiettivo evitare che lo Yemen divenga un altro “Stato fallito”. Il governo yemenita ha riconosciuto la necessità di riforme economiche e politiche urgenti come strumento per sradicare la presenza di Al Qaeda, che minaccia la stabilità dell’intera regione, e le grandi potenze si sono impegnate nel sostenere il governo di Sana’a, il quale a sua volta promette di agire in concerto con il Fondo Monetario Internazionale per adottare delle misure contro la povertà che è il terreno dove alligna il radicalismo islamico. “Le sfide nello Yemen stanno aumentando – si legge nel testo diffuso ieri a Londra – se non verranno affrontate finiranno per minacciare la stabilità del Paese e della regione”. I partecipanti si sono quindi "impegnati ad analizzare questi problemi", chiedendo al Paese della penisola arabica uno sforzo nella lotta alla corruzione, ma riconoscendo la sovranità di Sana’a e impegnandosi a non interferire negli affari interni yemeniti. L’impressione è che al di là di un intento "esplorativo", il forum non abbia prodotto delle linee-guida immediate per affrontare la questione dello Yemen, attraverso aiuti economici al governo locale per contrastare il terrorismo. 

Il ministro degli Esteri italiano Frattini ci ha provato, proponendo l’iniziativa Friends of Yemen, la creazione di un gruppo di nazioni amiche dello Yemen che abbiano come obiettivo il rafforzamento della sicurezza della regione e il processo di riforme e stabilizzazione all’interno del Paese. Proprio in materia di sicurezza, ha ricordato il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari, “l’Italia ha finanziato un sistema radar per il controllo della costa e per la formazione della guardia costiera yemenita, un pacchetto pari a 20 milioni di euro”. Da parte nostra, ha proseguito Massari, “c’è la volontà di dare seguito anche alle richieste yemenite, con una seconda tranche di aiuti estendendola anche alle coste orientali del Paese”. L’Italia è tra i primi donatori del governo yemenita: “Dal 2006 a oggi abbiamo impegnato 5 milioni di euro ‘a dono’ e 20 milioni di euro a credito. A ciò si aggiungono 16 milioni di euro per la conversione del debito”.

Intanto – secondo quanto rivela il Washington Post – il presidente americano Barack Obama ha approvato operazioni segrete congiunte tra le forze speciali e i servizi segreti Usa con le truppe dello Yemen, che sono cominciate circa un mese e mezzo fa e hanno portato alla eliminazione di alcuni leader regionali di Al Qaeda. I consiglieri americani, sempre secondo il Post, non prendono parte ai raid nel paese arabo, ma contribuiscono a pianificare missioni, a sviluppare tattiche e al rifornimento di armi. Gli Stati Uniti passano anche alle forze yemenite informazioni di intelligence, compresa sorveglianza elettronica e video, mappe a tre dimensioni e analisi della rete di Al Qaida. “Siamo molto contenti per come vanno che cose”, ha detto al giornale un alto esponente dell’amministrazione Obama.

Un funzionario yemenita ha spiegato che i due Paesi mantengono “una cooperazione diretta nel combattere Al Qaeda nella Penisola Arabica, ma ci sono chiari limiti al coinvolgimento degli Stati Uniti sul terreno”. Se è vero che lo Yemen ha bisogno del supporto logistico degli Stati Uniti, non autorizzerà basi militari né operazioni segrete sul proprio territorio, come ha detto il ministro degli Esteri yemenita Abubakr al Qirbi in un’intervista alla Bbc.

Secondo il Segretario di Stato americano Clinton, che ha dedicato solo un paio d’ore alla questione, Sana’a deve accelerare le riforme, combattendo la corruzione e migliorando le condizioni per gli investimenti e gli affari. Il Post sottolinea che Obama ha inviato la Clinton a Sana’a per spingere lo Yemen a negoziare un accordo con gli insorgenti sciiti (filo-iraniani), in modo da contenere la minaccia delle milizie sunnite qaediste presenti nelle regioni centro-orientali del Paese.

L’Afganistan. Oggi, per la Conferenza internazionale sull’Afghanistan, i diplomatici si riuniscono alla Lancaster House, un luogo storico per gli accordi internazionali –  che ha ospitato diverse riunioni dell’ex G7, i negoziati per l’assetto costituzionale della Nigeria (1957 e ’58) e l’indipendenza del Kenya (1960, ’62 e ’63). La conferenza è presieduta dal premier britannico Gordon Brown, dal presidente afghano Hamid Karzai e dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Co-presidenti sono il ministro degli Esteri britannico David Miliband, il collega afghano uscente Ranin Spanta, e il rappresentante Onu in Afghanistan, Kai Eide. Tra gli invitati, i ministri degli Esteri dei Paesi che contribuiscono all’Isaf (43 nazioni in tutto), tra cui la stessa Clinton, i rappresentanti dei Paesi della regione e di Ue, Nato e Banca Mondiale, tra gli altri.

Ieri la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha promesso di non far mancare il sostegno tedesco all’Afghanistan anche dopo il ritiro delle truppe dal Paese (“Non ci dimenticheremo dell’Afghanistan”). L’Italia si presenta all’appuntamento come uno dei primi Paesi favorevoli a un dialogo politico, e quindi a un coinvolgimento dei talebani ‘moderati’ in Afghanistan, secondo la linea dettata negli ultimi giorni dagli Usa (trattare sì, ma solo da una posizione di forza). Frattini si incontrerà, tra gli altri, con il nuovo ministro degli Esteri afghano Zalmay Rasul.

L’Iran non partecipa ai lavori diplomatici. “Non crediamo che questa conferenza permetterà di risolvere i problemi dell’Afghanistan perché prevede di accrescere la presenza militare (occidentale) e non si interessa alle radici di questi problemi”, ha detto il portavoce di Teheran spiegando che in Afghanistan “le attività terroriste si sono sviluppate a causa della presenza di forze straniere”. Secondo un comunicato diffuso dai Talebani, infine, la conferenza internazionale di Londra sarebbe una perdita di tempo. “Ci sono state conferenze simili in passato, nessuna ha risolto i problemi dell’Afghanistan: sarà lo stesso per questa di Londra”, recita il comunicato firmato dall’Emirato islamico. “L’unica soluzione – conclude – è l’immediata partenza di tutte le truppe di occupazione”.