Brown vuole indagare sull’Iraq per riconquistare la sinistra del Labour
18 Giugno 2009
Alla fine si è dovuto arrendere. O quasi. Dopo anni di polemiche, rifiuti e rinvii, Gordon Brown ha annunciato l’apertura di un’inchiesta indipendente sulla conduzione della guerra in Iraq. La "verità" verrà fuori anche se rimarrà chiusa nelle stanze del potere inglese. La commissione sarà presieduta da John Chilcot, presidente della Federazione delle forze di polizia e ex sottosegretario all’Irlanda del Nord, e inizierà i lavori tra un paio di settimane. Verranno ascoltati testimoni e saranno esaminati eventi compresi tra il settembre del 2001, ben prima della guerra scoppiata nel marzo 2003, e il luglio di quest’anno, quando la missione britannica sarà ormai ridotta al solo addestramento degli iracheni.
L’obiettivo dell’indagine è quello di stabilire le ragioni che hanno spinto il governo Blair a partecipare all’invasione al fianco degli Stati Uniti e a co-gestire l’occupazione del Paese assieme agli americani. "L’inchiesta non punta ad attribuire colpe, ma a farci apprendere la lezione che emerge da questa vicenda, spesso controversa, e a migliorare la nostra democrazia e la nostra diplomazia", ha assicurato il premier britannico. Una decisione, quella di Brown, che mira probabilmente a riconquistare consensi nell’elettorato più a sinistra del Labour – quello che non aveva condiviso la scelta della guerra e che negli anni scorsi aveva continuato a criticare la leadership del partito; una mossa che viene dopo la “storica disfatta” alle elezioni europee (come l’ha definita la Bbc) e l’emorragia di ministri che ha colpito l’esecutivo dopo gli scandali del mese scorso.
I partiti d’opposizione, che avevano chiesto ripetutamente l’apertura di un’inchiesta fin dal 2003, hanno aspramente criticato la scelta del governo laburista di non rendere pubblici i lavori della Commissione “per ragioni di sicurezza nazionale”, come pure il ritardo con cui è stata avviata l’indagine. “La decisione di tenere segreti i risultati è incomprensibile – ha detto il portavoce di ‘Stop the war’ Lindsey German – e dà l’impressione che questo governo abbia qualcosa da nascondere”. Critico anche David Cameron: l’inchiesta doveva essere avviata anni fa e concludersi entro le prossime lezioni: “E’ un mero calcolo di opportunismo. L’inchiesta si concluderà, sorpresa delle sorprese, in luglio, agosto 2010. Si stabilisce una data limite e si fissa la pubblicazione del risultato dopo le prossime elezioni. E’ chiaro che la commissione viene pensata per evitare ogni spiacevole sorpresa al governo”.
Nella campagna irachena, costata circa 6,5 miliardi di sterline, persero la vita 180 soldati di Sua Maestà. I presunti legami del regime di Saddam Hussein con Al Qaeda e la presenza nel paese di armi di distruzione di massa furono alcuni dei motivi che spinsero la Gran Bretagna ad affiancare militarmente gli Usa. Ufficialmente, non è mai stata trovata traccia delle armi di sterminio, nonostante qualcuno sia ancora convinto che il dittatore iracheno possa averle spostate in uno dei paesi confinanti e consenzienti, sfuggendo ai controlli della comunità internazionale.
Ma al di là della “pistola fumante”, l’allora premier Tony Blair scelse di “partire per la guerra” per non tradire la special relationship tra Stati Uniti e Gran Bretagna. “Dobbiamo restare i più stretti alleati degli Stati Uniti – disse Blair – non perché sono potenti, ma perché condividiamo gli stessi valori. Non si possono lasciare soli gli Usa di fronte ai problemi”. Recentemente, anche Gordon Brown ha ricordato i benefici dell’invasione sull’economia dell’Iraq e sulla sua nuova democrazia. Tuttavia, le conseguenze della missione britannica in Iraq rischiano di costargli caro, come accadde al suo predecessore.