Bush ha garantito la sicurezza dell’America subendo critiche ingiuste
10 Ottobre 2008
di Robert Royal
Dopo otto anni di presidenza, George W. Bush non è molto popolare negli Stati Uniti anche se per motivi differenti rispetto all’Europa. Un terzo degli americani, tuttavia, né offre ancora una valutazione positiva; può sembrare poca cosa, ma solo il 17 per cento approva l’operato del Congresso e del Senato, entrambi controllati dai democratici.
Gli americani in questo momento sono disincantati nei confronti della classe politica. L’impopolarità di Bush è dovuta per lo più non alla decisione di andare in Iraq, ma alla cattiva gestione dell’intervento e all’economia. La sinistra ha provato a chiamare in causa l’elezione “rubata” da Bush nel 2000, per accreditare l’immagine di un’amministrazione moralmente in bancarotta sin dall’inizio. Passerà qualche anno prima di poter esprimere un giudizio equilibrato e giusto, ma quando arriverà il momento probabilmente Bush non ci sembrerà così cattivo.
Alcune delle accuse mosse a Bush scompariranno rapidamente. Ad esempio, Bush non ha mentito sulle armi di distruzione di massa in Iraq. Prima che la coalizione entrasse in guerra, tutti – Tony Blair, Jacques Chirac, Gerhard Schroeder, e persino Hans Blix (l’ispettore delle Nazioni Unite) – ritenevano che Saddam le avesse. Il Consiglio di Sicurezza discusse su come affrontare la faccenda. Colin Powell aveva ricevuto informazioni ingannevoli quando riferì alle Nazioni Unite che Saddam stava cercando di procurarsi uranio dal Niger. Ma Saddam aveva già impiegato armi chimiche contro l’Iran e i curdi, ed era in possesso anche di armi batteriologiche. L’amministrazione era convinta – erroneamente – che Saddam stava espandendo il suo arsenale, ma se questi avesse avuto altro tempo certamente l’avrebbe fatto. Sulla questione la storia non giudicherà Bush con severità.
Un’altra ragione è che Bush si è opposto fermamente e con successo al jihad islamico. Nessuno avrebbe mai immaginato che a otto anni dall’11 settembre non ci sarebbero stati più attentati terroristici in territorio americano. Questo è stata in larga parte il risultato di un’altra decisa e controversa mossa del presidente: il Patriot Act. Coloro che diffidano di Bush lo considereranno come un provvedimento lesivo della libertà. Ma la storia su Bush darà il beneficio del dubbio.
Al di là delle polemiche, l’America non è uno stato di polizia ed è lontana anni luce dal diventarlo. Gli abusi nel mantenimento della sicurezza, a volte sperimentati dai cittadini stranieri negli aeroporti, sono censurabili. Ma l’America si è trovata in una nuova e inconsueta posizione, e ha fatto ciò che era necessario per proteggere se stessa. Le risorse d’intelligence impiegate nell’antiterrorismo – che è certamente una buona causa – dalle forze di sicurezza in Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna e Italia, non casualmente è frutto del lavoro di agenti americani.
Due nomi, d’altro canto, macchieranno per sempre la reputazione di Bush: Abu Ghraib e Guantanamo. Abu Ghraib è stato un incubo. Ci sono state imperdonabili omissioni nella vigilanza da parte dell’esercito, ma quello che è accaduto in quella terribile prigione non corrisponde in alcun modo alla politica degli Stati Uniti. Purtroppo, però, Bush sarà per sempre e ingiustamente associato a questo episodio. Guantanamo è un caso più controverso. Gli Stati Uniti hanno trattenuto come prigionieri uomini di forze irregolari senza sapere che farne. Non pochi tra quelli rilasciati sono stati poi catturati nuovamente nel corso di azioni militari contro gli Stati Uniti e i suoi alleati. I critici di Bush, specie quelli che si oppongono al water-boarding, hanno ragione nel dire che questa tecnica supera e forse va di molto oltre i metodi d’interrogatorio ammessi nelle società civilizzate. Ma va anche detto che al water-boarding è stato fatto ricorso solamente nel caso di tre prigionieri sospettati speciali.
Semmai, Bush è più vulnerabile per la scelta dei collaboratori. Ha sostenuto il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, anche quando la sua strategia di mantenere un basso livello di truppe in Iraq si era già rivelata un fallimento. Il successo del surge sotto la guida del Generale Petraeus, insieme alla diplomazia, è la prova di come le cose potevano andare fin dall’inizio. Bush ha pure manifestato una certa debolezza per la nomina in posti chiave di uomini a lui fedeli. Il disastro successivo all’uragano Katrina a New Orleans non è dovuto, come ha accusato Barack Obama, al razzismo della Casa Bianca (un’accusa assurda, al pari di quelle avanzate alla politica ambientale di Bush). Si è trattato invece di una combinazione tra fallimenti locali e fallimenti al livello statale, unitamente all’incompetenza dell’incaricato voluto da Bush.
L’integrità morale di Bush è poi finita nel mirino per i presunti legami del presidente con i giganti della finanza, specie le compagnie petrolifere, e la sua presunta indifferenza verso i cittadini comuni. Ci dimentichiamo, tuttavia, che nelle settimane successive all’11 settembre 2001, dallo stock mercato americano sono stati erogati ben sette trilioni di dollari, come ai tempi della dotcom bubble (la bolla della new economy, ndt), che diede all’amministrazione Clinton un’apparenza di successo in politica economica. L’economia Usa è così riuscita a riprendersi velocemente, continuando la sua crescita con un tasso di disoccupazione relativamente basso. E’ vero che Bush e il Congresso a maggioranza repubblicana hanno fatto quello di cui i democratici li accusano, cioè spendere soldi quasi senza freno. Ciononostante, se non fosse intervenuta la crisi immobiliare l’economia oggi sarebbe forte grazie al taglio delle tasse voluto da Bush. Negli Stati Uniti si parla adesso di “prestiti predatori”, crediti rilasciati durante il boom delle case a soggetti a rischio. Quella stessa gente ora accusa le banche di aver avuto il braccio troppo corto nei confronti delle minoranze e dei redditi inferiori, impedendogli di accedere al mercato immobiliare. E’ difficile dire quanto ciò abbia a che fare con George Bush e la sua Amministrazione. Bush non ha incoraggiato la concessione di crediti rischiosi e il suo governo si è dimostrato fermo nel combatterne le conseguenze negative.
George W. Bush ha ricoperto l’incarico di presidente nel momento più difficile dalla fine della Guerra Fredda. Le sue maniera brusche e la mancanza di un’oratoria brillante hanno dato l’impressione, soprattutto in Europa, che fosse una figura inaffidabile e arrogante, non solo politicamente ma moralmente. Bush ha limiti e difetti, come tutti noi. Ma quando le cronache dell’inizio del XXI secolo verranno scritte, è più probabile che Bush verrà giudicato per aver fatto un buon lavoro, e in particolare per aver resistito alle critiche e per aver affrontato la minaccia posta all’Occidente dal terrorismo globale.
Robert Royal è presidente del Faith & Reason Institute di Washington.
Traduzione Emiliano Stornelli