Bush in Israele prende per mano il processo di pace

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Bush in Israele prende per mano il processo di pace

Bush in Israele prende per mano il processo di pace

09 Gennaio 2008

Questa mattina il presidente
degli Stati Uniti George W. Bush, insieme al segretario di Stato Condoleezza Rice, è atterrato a Tel Aviv, prima tappa di un
articolato viaggio in Medio Oriente che toccherà, oltre ai terrori palestinesi,
le principali monarchie della regione. Dopo l’incontro col premier israeliano
Ehud Olmert, previsto per oggi a Gerusalemme, Bush incontrerà domani il
presidente dell’Anp Abu Mazen a Ramallah. Nella seconda parte del tour, invece,
il presidente americano si dedicherà a Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia
Saudita: al centro dell’attenzione, in questa seconda fase, sarà l’elaborazione
di un piano per frenare le ambizioni nucleari dell’Iran di Ahmadinejad.

Subito dopo l’atterraggio al
Ben-Gurion International Airport, dove ha trovato ad attenderlo il presidente
israeliano Shimon Peres accompagnato da Olmert e  dal ministro degli Esteri, Tzipi Livni, Bush ha ostentato ottimismo:
“Cerchiamo una pace definitiva. Vediamo una nuova possibilità di pace qui,
in questi territori santi, e per la libertà dell’intera regione”. Nelle
sue prime frasi, dunque, sono già contenuti i temi principali del viaggio: la
risoluzione del conflitto israelo-palestinese e la minaccia iraniana, fattore
di destabilizzazione per tutta la regione. “Parleremo del nostro profondo
desiderio di sicurezza, libertà e pace per tutta la regione” ha aggiunto,
ricordando come “l’alleanza tra le nostre due nazioni aiuta a garantire la
sicurezza di Israele come Stato ebraico”. Olmert ha ringraziato
calorosamente Bush per il suo sostegno: “Le tue politiche riflettono una
grande comprensione dei problemi di Israele in questa regione
problematica”. Da Peres, invece, un pensiero per Ahmadinejad: “L’Iran
non deve sottovalutare la determinazione di Israele a difendersi”.

Oggi e domani, si diceva,
Bush focalizzerà la sua attenzione sul conflitto tra israeliani e palestinesi:
l’obiettivo è quello di far ripartire con decisione i negoziati per una pace da
raggiungere entro i primi mesi del 2009. A questo proposito, il vice premier
israeliano Ramon ha dichiarato che la visita del presidente potrà certamente
favorire un processo in questo senso. Ieri intanto, come segno di buona
disposizione, Olmert e Abu Mazen hanno ufficialmente pianificato i prossimi
incontri negoziali, dando così il via alla fase più delicata di quel processo
iniziato con la conferenza di Annapolis dello scorso novembre.

Sono molti i temi che Bush –
alla prima visita ufficiale in Israele, un paese sempre “delegato” al
segretario di Stato Condoleezza Rice – si troverà a fronteggiare nei colloqui
con Olmert e Abu Mazen. Primo, le colonie ebraiche in Cisgiordania: i
palestinesi hanno lamentato un incremento delle costruzioni israeliane
nell’area, e Bush dovrà mediare cercando di convincere Olmert a congelare gli
insediamenti. La Road Map del 2003, il punto di riferimento di Bush, prevede
infatti un progressivo smantellamento delle colonie e il blocco totale delle
nuove costruzioni. Secondo, la sicurezza: Israele lamenta, e a ragione, la
drammatica situazione venutasi a creare dopo la presa della Striscia di Gaza da
parte di Hamas. Abu Mazen, poi, leader di Fatah in Cisgiordania, si è mostrato
assolutamente incapace di mettere fine al lancio di razzi sul Negev rendendo la
situazione potenzialmente esplosiva. Terzo, profughi e prigionieri: i negoziatori
palestinesi richiedono il rilascio degli 11.000 prigionieri nelle carceri
israeliane, oltre alla possibilità di far rientrare in Israele i profughi
esiliati durante la guerra del 1948 (un punto sul quale Israele si è sempre
mostrato irremovibile). Quarto, la Striscia di Gaza: Fatah, si diceva, è
assolutamente inerme di fronte alla violenza perpetrata da Hamas tanto contro
Israele quanto contro i compagni di partito ancora presenti a Gaza.

Difficilmente Bush potrà
favorire la risoluzione di questi punti, ma entrambe le fazioni confidano in un
aiuto del presidente. Il capo negoziatore palestinese Erekat, sentito dall’Associated
Press, ha dichiarato che “è inutile parlare di pace mentre le colonie
continuano a crescere nei nostri territori, quelli sui quali nascerà lo Stato
palestinese. Ci auguriamo – ha aggiunto – che il presidente Bush spinga per la
formazione del comitato a tre (Usa, Israele, Anp) incaricato di verificare
l’applicazione della Road Map, come era stato concordato alla conferenza di
Annapolis”. Tzahi Hanegbi, capo della Commissione Esteri alla Knesset e
alleato di Olmert, ha frenato però le speranze palestinesi: “Bush sa che
il governo israeliano cadrà immediatamente se procederà allo sgombero degli
avamposti senza aver prima ottenuto concessioni importanti dai palestinesi in
materia di sicurezza”. Insomma, la linea di Israele è sempre la stessa: ‘security
first’, poi si può trattare. Ma la sicurezza, in una regione sempre più
esplosiva, sembra un miraggio lontano.

Molti analisti sottolineano,
però, come il vero obiettivo del viaggio di Bush sia un ulteriore isolamento
dell’Iran, continuando la pratica iniziata ad Annapolis (alla quale hanno preso
parte gran parte degli Stati della regione, Siria compresa, con grande
disappunto di Ahmadinehad). L’analista Gerald Steinberg, del “Centro per
la pace Begin-Sadat”, ha chiaramente sottolineato come “l’obiettivo
principale di questo viaggio nella regione del presidente Usa è quello di
consolidare il fronte anti-Iran”.

Un obiettivo, quello del
fronte anti-iraniano, che certo non dispiace a Olmert: Israele, infatti, è il
principale obiettivo delle invettive antisemite di Ahmadinejad. Bush, alla
vigilia della partenza, ha dichiarato tuttavia che la questione iraniana resta
per il momento sul piano diplomatico: e su quel piano resterebbe, secondo Bush,
anche se Israele “dovesse consegnare la pistola fumante”, dimostrando
cioè l’effettiva ricerca della bomba atomica da parte della Repubblica
iraniana. 

Ma al di là delle parole,
sembra che gli incontri previsti tra Bush e i leader di importanti Stati della
regione sia finalizzato a rinsaldare la collaborazione militare in risposta a
Teheran. La tensione tra Bush e Ahmadinejad, del resto, ha toccato l’apice
negli ultimi giorni in seguito alle provocazioni subite da tre navi americane
nel Golfo ad opera di piccoli battelli in dotazione ai pasdaran, i Guardiani
della Rivoluzione. Schermaglie che non accennano a placarsi: gli Stati Uniti
hanno intimato all’Iran di non provocare e di essere pronti a rispondere,
mentre Ahmadinejad ha minimizzato l’accaduto (definendolo “nella
norma”) e giudicando “prefabbricato” il video dell’incidente
rilasciato oggi dal Pentagono.

Elevatissime, per tutta la
settimana, saranno le misure di sicurezza. Il viaggio di Bush, oltre che
dall’incidente con i battelli iraniani e dall’esplosiva situazione nella
Striscia di Gaza, è infatti stato preceduto dall’appello del qaedista Azzam a
tutti i musulmani della regione affinché dessero il benvenuto all’indesiderato ospite
con le bombe. Guarda caso, il suo atterraggio di stamane è stato accolto da
parte di Hamas con il lancio di sei Qassam e dodici colpi di mortaio nel Negev:
uno dei razzi ha centrato in pieno una casa di Sderot, senza provocare vittime.
Un missile dell’esercito israeliano ha evitato all’ultimo che ulteriori razzi
fossero lanciati sul territorio israeliano.