Bush, l’istruzione e la riforma che vorremmo

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Bush, l’istruzione e la riforma che vorremmo

29 Novembre 2007

Margaret
Spellings è la Secretary of Education del governo degli Stati
Uniti. Questa elegante e pragmatica signora bionda è stata l’ombra del
presidente Bush negli ultimi dieci anni, dal Texas alla Casa Bianca, senza
piaggeria e con una certa allergia per i riflettori. Nel 2001 la Spellings è stata tra i
firmatari del No Child Left Behind Act
(NCLB), la legge che rappresenta il pilastro della riforma dell’istruzione
pubblica voluta da Bush. Forse serviva una donna per prendere questa decisione,
il primo, vero tentativo di svecchiare il sistema dell’istruzione americano
dopo la sentenza Brown v. Board of
Education
del 1954 e la rivoluzione liberal degli anni Sessanta e Settanta.
Una legge, la NCLB,
che è stata sostenuta senza ripensamenti anche da un vecchio leone democratico
come il senatore Ted Kennedy.

Il concetto è
semplice: per “non lasciare indietro nessuno studente” è necessario che le
scuole ottengano risultati concreti, dal punto di vista didattico, disciplinare
e della gestione economica. Lo strumento di controllo privilegiato sono i test
a cui devono sottoporsi gli studenti delle primary
e secondary school. Le scuole che
superano le prove ottengono i finanziamenti federali, le altre devono mostrare
di avere almeno un trend positivo se no i vertici scolastici vengono azzerati,
si chiude e si ricomincia da capo. Nei primi anni di applicazione, la nuova legge
ha rischiato di provocare una vera e propria strage. Centinaia di istituti non erano
pronti a reggere la sfida lanciata dal segretario Spellings (la sfida dei
principi basilari della educazione, saper leggere e fare di conto), e questo
dimostra che la direzione imboccata è quella giusta, c’è qualcosa che non
quadra nel sistema scolastico, qualcosa che va cambiato. La Spellings, che è una
realista, davanti al potenziale disastro ha fatto una piccola (ma proprio
piccola) marcia indietro, spiegando che ogni buona legge va modificata e
migliorata durante la sua attuazione, insomma, è logico che il segretario non
chiederà standard di merito troppo elevati alle scuole sopravvissute all’uragano
Katrina. 

La novità se
mai è un’altra. Il segretario Spellings è convinta, non a torto, che il sistema
di verifica delle responsabilità
introdotto dalla NCLB andrebbe esteso anche alla high school. Bush ha esortato il Congresso a stanziare un miliardo
e mezzo di dollari per finanziare i test nelle scuole superiori e ha chiesto
che sia approvato un programma di formazione per settantamila docenti che
andranno a insegnare Advanced Placement
– corsi di perfezionamento per gli studenti delle superiori che vogliono
maturare crediti da spendere nella loro futura carriera universitaria. Bush ha
creato un fondo di incentivi per i docenti più bravi e per quelli che scelgono
di insegnare nelle scuole a rischio. Ha incoraggiato i professionisti delle
scienze e della matematica a portare le loro competenze nella scuola, con
contratti part-time e docenze a termine.

Le scuole
dovranno smetterla di trascinare gli studenti da una classe all’altra, senza
che questi ultimi riescano a fare dei concreti passi avanti nella loro
formazione. Prendiamo i figli dei migranti, per esempio, i ragazzi che
appartengono alle minoranze e che non parlano l’americano. Sono studenti a
rischio, il problema della lingua rischia di lasciarli indietro. La NCLB ha favorito il diritto
di scelta delle famiglie più povere che oggi possono spostare i loro figli dalle
scuole troppo problematiche, con l’incentivo delle borse di studio.

In complesso,
la riforma della scuola ha prodotto decine di miliardi di dollari di
finanziamenti, aumentando del 70% la spesa per l’istruzione. Come ha scritto Christian
Rocca, “la Casa Bianca
ha utilizzato gli strumenti cari ai liberal, ovvero il governo federale, per
promuovere obiettivi conservatori”. E’ il segreto del “conservatorismo
compassionevole”, l’espressione coniata da Martin Olasky, che Bush usò per la
prima volta nel ’97 in una trasmissione della CBS, quand’era ancora governatore
del Texas. L’evangelico Olasky, autore di The
Tragedy of American Compassion
, considera l’istruzione un biglietto da
visita per sfuggire alla povertà, ed è convinto che nelle scuole si debba
passare da una “cultura della sopravvivenza” a una “cultura della eccellenza”.
“Olasky”, dice Raffaele Iannuzzi, “s’inserisce pienamente nella corrente
‘calda’ dell’umanesimo di Adam Smith, la scuola del cosiddetto ‘illuminismo
scozzese’ che concepiva la civil society
come uno spazio non soltanto sociale ed economico”. Un liberalismo moderno e
cristiano, dunque, riformatore e non laicista.

Certo, la
montagna di soldi stanziata per la
NCLB ha fatto venire l’orticaria ai veterani dello ‘stato
leggero’, l’ala fiscal-conservative
del Partito repubblicano. Frederick Hess, il direttore della Education Policy Studies dell’American
Enterprise Institute, ha giudicato la legge come uno dei più importanti passi
avanti fatti dalla legislazione federale nella storia americana, ma non ha
mancato di sottolineare il suo aspetto più controverso, aver “amalgamato”
troppo in fretta idee di destra, sinistra e centro, lasciandosi cullare dalle
sirene di Al Gore. Hess resta abbastanza scettico sulla data che la Commissione Spellings
ha indicato come l’obiettivo della legge, il 2014, che a quanto pare è troppo
vicino per rimettere in sesto la scuola pubblica. Il timore di osservatori come
Hess, che pure guardano con favore alla politica interna di Bush, è che la
spesa pubblica vada fuori controllo nel prossimo decennio. Se non c’è rimedio
alla Left Behind, dice Hess, allora occorre premiare di più le scuole che
funzionano e far pagare vere penalità a quelle che falliscono.

Ne è convinto
anche l’economista Richard Vedder, che insegna alla Ohio University e siede
nella commissione Spellings. Nel libro Going
Broke by Degree
, uscito nel 2004, Vedder se la prende soprattutto con gli
insegnanti delle scuole pubbliche, per la loro bassa produttività, la mancanza
di autorevolezza, il fatto di essere favoriti dai sindacati rispetto ai loro
colleghi che lavorano nelle charters
school
e nel sistema dell’istruzione privata laica. Gli insegnanti
pubblici, dice Vedder, guadagnano all’ora quanto un ingegnere civile ma nessuno
può controllare la qualità e la quantità del loro lavoro, che viene calcolato
sugli inputs che mettono nel loro
lavoro (l’esperienza, ecc.) e non sugli outcomes,
i risultati raggiunti. Eppure negli Stati Uniti il ‘merito’serve già a fissare
la paga dei professori universitari, insomma basterebbe applicare lo stesso
principio ai livelli precedenti del sistema scolastico, cominciando dalla high
school, rimettendo al centro del discorso la qualità e il valore
dell’insegnamento.

Vedder è un
difensore accanito della scuola privata e, dati alla mano, dimostra che ci sono
un numero crescente di insegnanti disposti a lavorare nel privato, con una paga
spesso inferiore, pur di trovare un ambiente educativo più tranquillo e adatto
alla loro realizzazione personale. Gli insegnanti che se la passano meglio sono
quelli delle scuole religiose: redditi alti quanto i loro colleghi del
pubblico, e un sistema educativo che mette ancora al primo posto i valori e una
buona dose di autorità. Al Patrick Henry
College
, il tempio dell’homeschooling, il dating tra adolescenti è regolato in modo severissimo: per invitare
una ragazza a cena, lo spasimante deve chiederlo prima ai genitori di lei e in
seguito è costretto a tenere informate le rispettive famiglie sull’andamento
della love story.

Bush non ha
dimenticato neppure gli homeschoolers,
i ragazzi che studiano a casa con i genitori, che negli Stati Uniti sono
qualche milione. Di tutti i movimenti spontanei della storia dell’educazione
americana del Novecento, quello degli homeschoolers è senz’altro uno dei più
originali, la manifestazione di una idea dell’apprendimento libera dalle
sovrastrutture burocratiche e ideologiche dell’istruzione statale, e più legata
alla trasmissione diretta del sapere tra genitori e figli. E’ un fenomeno che
non ha riguardato solo la destra cristiana, ma anche spezzoni consistenti del
mondo hippy, legato alle contestazioni degli anni settanta (l’unschooling). Per tutti questi genitori
rinchiudere i loro figli per trenta ore alla settimana in una classe, dietro il
banco, significa privarli della loro libertà personale. Il movimento
homeschoolers appare agguerrito e pieno di vitalità e sembra sfuggire al lento
declino della scuola pubblica.

Mancanza di
autorità e bassi rendimenti scolastici, studenti sfrenati, insegnanti frustrati
e genitori iperprotettivi. E’ il ritratto, plumbeo, dell’istruzione superiore
pubblica in Occidente, nei nostri licei come nella high school degli Stati
Uniti. Dai quattordici ai diciotto anni, stiamo allevando una generazione
annoiata, sfacciata, semianalfabeta, che usa la scuola come un palcoscenico
dove sfoggiare l’ultima versione del telefonino. Con la scusa di premiare la
creatività dei singoli sono saltate tutte le regole che tenevano unita una
classe, comprese l’obbedienza e il rispetto verso i compagni e i docenti. Ecco
perché le famiglie preferiscono tenere i figli a casa. Gli studenti appaiono
sempre di più come dei disadattati incapaci di reagire secondo abitudini fisse e prevedibili all’autorità. Quando l’anticonformismo diventa la
regola anche le botte ai down, i peepshow
e le pistole nell’armadietto diventano comprensibili. E’ un’educazione
indifferenziata, che non riconosce più ai giovani un ruolo, o un particolare
addestramento sociale, ma gli concede solo l’umiliazione dell’eguaglianza.

Richard Arum
insegna sociologia alla New York University. E’ convinto che ci sia una crisi
di autorità morale nelle scuole americane, e che il potere giudiziario abbia
contribuito ad accelerare questi processi disgregativi delle gerarchie e della
disciplina. In un articolo scritto per National
Review
nell’ottobre del 2004, Arum ricorda la storia di dieci studenti
della Cheyenne High School di Las
Vegas. Gli studenti della locale squadra di football erano stati pizzicati a darsele
di santa ragione con i giocatori della squadra avversaria. Jerry Hughes, il
direttore della Nevada Interscholastic
Activities Association
, chiese che i ragazzi fossero immediatamente sospesi
e che gli venisse impedito di giocare i playoffs. Il giorno dopo i genitori
degli studenti sguinzagliarono i loro avvocati trascinando l’associazione di
Hughes in tribunale. Ma il giudice Jackie Glass permise ai ragazzi di giocare
comunque la finale. Evidentemente tifava per loro squadra. Arum, che ha
collezionato decine di casi come questo, non è un fanatico della tolleranza
zero. Dice che nella scuola c’è bisogno di più autorevolezza, non di
autoritarismo. In fondo il problema è tutto qui.