Business with the Evil: Italia miglior partner europeo dell’Iran

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Business with the Evil: Italia miglior partner europeo dell’Iran

23 Aprile 2011

Si è conclusa martedì a Teheran la 16° International Oil, Gas, Refining and Petrochemical Exhibition, il più importante momento di incontro tra le industrie del settore petrolchimico. Ma qualcosa quest’anno sembra non essere andato come previsto. Come riporta infatti Najmeh Bozorgmehr sul Financial Times, "l’Iran, ricco di petrolio e gas, potrà anche sminuire l’impatto delle sanzioni di Stati Uniti ed Unione Europea sul suo programma nucleare, ma alla maggiore fiera internazionale del paese è emerso con grande evidenza che le misure prese stanno avendo un forte impatto sul settore degli idrocarburi”. Le pressioni dei governi occidentali sembra che abbiano sortito gli effetti sperati, dunque, anche se ancora una volta l’Europa si è divisa, se è vero che la Shell ha deciso di non partecipare alla Fiera, mentre la francese Total, la norvegese Statoil e l’austriaca OMV erano presenti con grandi stand.

A farla da padroni, quest’anno, sono stati invece i cinesi, che ancora una volta non hanno perso l’occasione di riempire i vuoti lasciati dagli occidentali. Sono state 166 le compagnie cinesi a partecipare (su tutte, naturalmente, la Sinopec e la China National Petroleum Corporation), quante quelle di Germania, Francia, Inghilterra, Olanda ed Italia messe insieme. Ma evidentemente non basta il massiccio intervento di Pechino a risollevare le sorti dell’industria petrolifera iraniana, come ammesso per la prima volta anche da Ahmad Ghalehbani, capo della National Iranian Oil Company, secondo cui "la produzione di petrolio del paese è scesa di 25.000 barili al giorno rispetto ad un anno fa”, mentre analisti indipendenti hanno rilevato che la produzione si è attestata tra i 3.7m ed i 3.8m b/d  dai 4.2m b/d degli anni scorsi.

E la produzione di petrolio non è l’unica a risentire dell’embargo occidentale, basti pensare che South Pars, il più grande giacimento di gas del mondo, nel sud dell’Iran, è drammaticamente al di sotto delle sue possibilità estrattive a causa del crollo degli investimenti e della mancanza di macchinari. Diventa sempre più difficile e costoso riuscire ad importare le attrezzature necessarie all’industria petrolchimica a causa delle sanzioni internazionali, così come è diventato estremamente difficile riuscire a reperire i finanziamenti. L’uso dei network bancari per trasferire denaro è sempre più complesso, e richiede tempi e costi proibitivi come rileva ancora il FT: “Il denaro dovrebbe andare da una banca europea ad un’altra per poi passare in qualche paese asiatico, come la Malaysia, Singapore o la Cina, e da qui verso Dubai, il Qatar o la Turchia per arrivare finalmente in Iran”.

La pressione sull’Iran è sempre più forte, dunque, ma ancora ci sono ampi margini per incrementarla, e l’Italia potrebbe, anzi dovrebbe, giocare un ruolo chiave. A questo proposito le cifre parlano da sole. Stando ad Assafrica e Mediterraneo (l’associazione di Confindustria per lo sviluppo delle imprese italiane in Africa, Mediterraneo e Medio Oriente) ed alla Camera di Commercio e industria Italo-Iraniana (CCII), “come interscambio complessivo UE–Iran l’Italia è nel 2010 il primo partner commerciale dell’Iran, con un totale di 6.735 milioni di euro, seguita dalla Germania, al secondo posto con 4.654 milioni di euro, dalla Spagna (3.777 milioni di euro), dai Paesi Bassi (2.842 milioni di euro) e dalla Francia (2.633 milioni di euro)”. Non solo, perché se nel 2010 in ambito UE la Germania si è confermata il principale fornitore dell’Iran, secondo dati Eurostat l’Italia si colloca al secondo posto, con un livello di export nel periodo considerato “pari a 2.061 milioni di euro, seguito dalla Francia (1.784 milioni di euro) e dai Paesi Bassi (588 milioni di euro)”.

Come rileva Giulio Meotti sul Wall Street Journal, “la lista delle circa 1.000 imprese italiane attive in Iran include grandi nomi com Eni, Fiat, Ansaldo, Maire Tecnimont, Danieli and Duferco, società attive non solo nell’industria civile, ma in quella militare, soprattutto satellitare”.  La Carlo Gavazzi Space, ad esempio, ha supportato il regime di Teheran nello sviluppo del satellite Mesbah, ufficialmente per scopi civili (telecomunicazioni) ma si sa che passare da un uso civile ad uno militare è estremamente semplice. La Fiat, invece, attraverso l’IVECO fornisce camion, anche in questo caso ufficialmente per scopi civili, per quanto i nostri camion non solo possono essere adibiti al trasporto di missili, ma sembra che siano utilizzati anche per scopi decisamente più macabri, come testimoniano numerose foto ufficiali che ritraggono  le esecuzioni pubbliche di omosessuali e dissidenti organizzate proprio su questi veicoli.

D’altra parte è lo stesso direttore dell’ufficio stampa di IVECO, Maurizio Pignata, a confermare a Meotti che "questi veicoli sono sempre venduti per scopi civili ma la compagnia non può sapere se ne vengono fatti usi diversi […]. Quindi non possiamo realmente sapere se i nostri camion sono usati per scopi militari o a fini repressivi”. Proprio per protestare contro questa forma di ipocrisia, e di supporto strisciante al regime sanguinario degli Ayatollah, nei giorni scorsi all’International Auto Show di New York è andata in scena la protesta di Iran180 e United Against Nuclear Iran (UANI) contro le relazioni tra Torino e Teheran. E se la IVECO mantiene ancora una forma di ipocrita perbenismo di facciata, la FB Design si spinge ancora più in là, con il fondatore e proprietario, Fabio Buzzi, che nel 2008 ha candidamente ammesso all’ANSA: “Sì certo non è un mistero che vendiamo navi, disegni e tecnologie ai servizi segreti iraniani”.

Ma la lista di aziende che fanno affari con Teheran è lunga, dalla Gemels alla Pardis, dalla Seko alla Fema e molte altre più o meno note al grande pubblico (per farsi un’idea si può consultare la lista dei partecipanti alla Fiera di Teheran). E se da un lato è difficile chiedere ad aziende senza scrupoli di coniugare la logica del profitto con un minimo di moralità, dall’altro è necessario chiedere al governo italiano di giocare un ruolo maggiormente attivo in questo senso. L’aver portato la SACE a non assicurare il rischio verso l’Iran deve essere solo l’inizio di un’azione più incisiva nei confronti di quelle aziende che si pongono in contraddizione con gli obiettivi strategici del nostro paese.