Cadono le teste di Mr.Gm e Mr.Peugeot. Chrysler e Fiat studiano le mosse

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Cadono le teste di Mr.Gm e Mr.Peugeot. Chrysler e Fiat studiano le mosse

30 Marzo 2009

Gli americani volevano una testa ed Obama gliel’ha data. Richard Wagoner non è più l’amministratore delegato di General Motors. Le situazioni finanziarie del gruppo di Detroit hanno reso necessaria la cacciata, secondo fonti federali. Il posto vacante sarà preso da Fritz Henderson, uno dei top manager del gruppo, con la speranza che si possano attuare le riforme di gestione necessarie per evitare l’iscrizione al Chapter 11 del più grande costruttore automobilistico statunitense.

Questo è l’epilogo di una storia già scritta nello scorso dicembre, quando GM ricevette aiuti di stato per oltre 17 miliardi di dollari dall’uscente amministrazione Bush. La conditio sine qua non per un’ulteriore sostegno attraverso nuova liquidità, era quella della dimostrazione fattuale che la casa automobilistica stava riprendendo la sua corsa. Questo invece non è avvenuto.

L’accordo fra il Governo e GM era molto semplice: «Se entro marzo non ci saranno novità nel management, qualcosa cambierà». E pochi giorni fa Wagoner aveva sfidato l’establishment, affermando: «Il nostro modello di business è perfetto, non è colpa nostra se è calata la propensione all’acquisto e se c’è una crisi così generale». Ma per smentire le parole del numero uno di GM sono bastati i dati di bilancio degli ultimi 5 anni: più di 85 miliardi di dollari di debito e numerosi progetti completamente falliti. Di certo, è la prima volta che un amministratore delegato viene utilizzato come merce di scambio. Infatti, il motivo dell’allontanamento è semplice: nessun aiuto in caso di permanenza di Wagoner al vertice di GM. E come si può permettere che il costruttore, con il suo fondo pensione da 320mila persone, fallisca? Il Governo ha ribadito la linea proposta durante l’insediamento di Obama. In una nota si legge che «per uscire dalla tempesta occorrono i sacrifici di tutti, manager, fornitori, dipendenti, azionisti. Ma i costruttori non hanno ancora fatto abbastanza. In cambio degli aiuti GM e Chrysler devono compiere serie ristrutturazioni». E proprio ora si sposta l’attenzione su Chrysler che vede in Fiat l’unica ancora di salvezza. Sergio Marchionne, CEO del Lingotto, ha più volte ricordato come l’opzione americana sia per loro un «Biglietto della lotteria», ma ora gli scenari potrebbero mutare. Se Chrysler, tramite la partnership strategica con Fiat, dimostrasse al Governo di essere in grado di risanare un management cattivo, si aprirebbero le porte a nuove iniezioni di denaro. Questo permetterebbe anche a Fiat di giovarne indirettamente, al fine di creare un colosso internazionale diviso fra Europa e Stati Uniti.

Anche in Europa, tuttavia, le cose non vanno bene. Christian Streiff, amministratore delegato di PSA (Peugeot, Citroen), è stato destituito dalla guida del gruppo. In un breve comunicato stampa il presidente Thierry Peugeot ha spiegato che «date le straordinarie difficoltà a cui l’industria automobilistica si trova a far fronte, il board ha deciso all’unanimità che un cambio della leadership era necessario». Ad onor del vero, alla famiglia Peugeot non sono mai andati giù gli aiuti di stato ricevuti negli scorsi mesi, dopo una gestione aziendale non certo soddisfacente. Il nuovo corso della casa del Leone e di Citroen, dopo anni di vendite non proprio soddisfacenti, è stato invocato a gran voce, senza avere risultati ottimali. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, aveva convocato gli Stati Generali dell’auto e concesso l’apertura di una linea di credito per PSA di circa 3 miliardi di euro. Streiff sarà rimpiazzato da Philippe Varin, ora alla guida di Corus.

L’auto Usa ha i giorni contati: GM ha due mesi di tempo per presentare un piano di ristrutturazione aziendale, Chrysler ha un mese per fare lo stesso, comprendendo nel programma l’allenza con Fiat. Scaduti questi termini, Obama ha già ricordato al management delle due case che non ci sarà più spazio per l’indulgenza. Da una parte ci sono società che hanno sprecato miliardi su miliardi, dall’altra uno stato che non può permettersi più di elargire liquidità. Ma in mezzo ci sono cittadini che sembrano essere, almeno sulla carta, perdenti in ogni caso.