Cambogia, lo scandalo del tribunale sui Khmer Rossi

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Cambogia, lo scandalo del tribunale sui Khmer Rossi

25 Settembre 2007

Noun Chea è stato per 30 anni il braccio destro di Pol Pot. Ha visto nascere i Khmer Rossi, ha visto la marcia trionfale su Phnom Penh del 17 Aprile ’75 e ha assistito alla morte di più di un milione e mezzo di persone, molte delle quali giustiziate, altre per fame o malattia conseguenti alle durissime condizioni di vita imposte dal regime comunista del dittatore cambogiano.

La buona notizia è che, lo scorso mercoledì, Noun Chea è stato arrestato dal tribunale di Phnom Penh che si occupa dei Khmer Rossi, con l’accusa di crimini contro l’umanità. Il “Grande Fratello numero due” andrà a fare compagnia a Khang Khek Ieu, ex-capo della tristemente famosa prigione “S-21” -un centro di tortura dove la gente veniva operata viva con strumenti chirurgici bollenti per estorcere confessioni di comodo – che è in carcere dallo scorso luglio. Come ha fatto notare sul New York Times John A. Hall, esperto di diritto internazionale alla Chapman University in California, il tutto “potrebbe fa pensare ad un concreto passo avanti nel fare giustizia contro quello che è ritenuto uno dei genocidi più brutali del ventesimo secolo: la scomparsa di più di un milione di cambogiani tra il 1975 e il 1979”. Purtroppo però c’è anche una brutta notizia e si tratta di uno scandalo di proporzioni tali da compromettere la legalità del processo in corso.

Nel caso dei tribunali istituiti per i genocidi in Sierra Leone o a Timor Est, gli alti vertici dell’ONU si sono sempre rifiutati di scendere a compromessi con il governo locale e tutto l’apparato giudiziario è finito in mano a giudici internazionali. Per quanto riguarda i Khmer Rossi, invece, dopo anni di trattative si è raggiunto un compromesso con il governo cambogiano, mischiando la legge internazionale con quella locale. Non solo, la notizia ancora più grave è che anche lo staff che compone il tribunale è composto da giudici e avvocati locali (http://www.cambodia.gov.kh/krt/english/), facilmente controllabili dal governo, e che per di più giocano un ruolo fondamentale nel processo decisionale.

Lasciare il potere nelle mani del sistema giudiziario cambogiano, considerato un apparato debole e facilmente manipolabile, in cui i giudici devono fare molta attenzione a non scontentare i politici, sembra una scommessa francamente troppo azzardata. Nessuno si permetterebbe infatti di scontrarsi con il potere del primo ministro Hun Sen, leader del Partito del Popolo.

D’altronde, i sospetti di scarsa affidabilità del tribunale sui Khmer Rossi, si sono trasformati in certezze quasi subito. Infatti a metà agosto di quest’anno la presidentessa della Corte d’Appello Cambogiana Ly Vuochleng, è stata rimpiazzata da You Bunleng, un giudice membro della Task Force che si stava già occupando di portare avanti le indagini per il tribunale contro i crimini dei Khmer Rossi. Non solo. Il “rimpiazzo” ai danni della Vuochleng – accusata di corruzione – è avvenuto in aperta contraddizione con le procedure standard del tribunale, le quali prevedono che un magistrato, una volta eletto, debba finire il suo lavoro prima di essere rimosso e questo per evitare eventuali interferenze da parte del governo. Come se non bastasse, il posto lasciato vacante da You Bunleng è stato occupato da Thong Ol, uomo molto vicino al primo ministro e famoso per aver sorprendentemente assolto, nel 2000, un comandante dei Khmer che aveva assaltato un treno tredici anni fa, uccidendo svariate persone. Le dichiarazioni rilasciate dal figlio di Noun Chea all’indomani dell’arresto, “mio padre è felice di fare luce sul regime dei Khmer Rossi in modo che la gente e l’intero mondo possano comprendere”, suonano quindi quantomeno ottimiste, visto anche il fatto che il presidente del tribunale speciale sui Khmer Rossi, Marcel Lemonde, difficilmente sarà in grado di alzare la voce contro questa ingiustizia e di collaborare efficacemente con Thong Ol.

Un’altra notizia, se si vuole ancora più preoccupante, è che il tribunale cambogiano non è mai riuscito a respingere le accuse di corruzione che gli piovono addosso e tanto meno a difendersi dall’accusa lanciata della Open Society Justice Initiative di New York (accusa che coinvolge anche le decisioni prese dalle Nazioni Unite) la quale ha rilevato l’utilizzo inadeguato da parte cambogiana dei soldi provenienti dal programma di sviluppo Onu che prevede un gettito di 13,3 milioni di dollari in tre anni da destinare al tribunale su Khmer. La NYOS si è vista negare il permesso di accedere ai dati dello staff del tribunale da parte del governo cambogiano dopo tale accusa, così il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite ha dovuto rivolgersi ad una società esterna, la Candide Consulting, che ha portato avanti un indagine e prodotto un incartamento scoprendo gravi anomalie nella gestione del personale cambogiano.

Tale documento non è mai stato reso pubblico dall’Onu e per un buon motivo, visti i risultati dell’indagine. Hall, l’esperto di diritto internazionale ha potuto prendere visione di questo report nel quale si leggeva che “i candidati non raggiungevano i requisiti minimi necessari richiesti dagli annunci di lavoro in termini di qualificazioni accademiche e esperienze lavorative”. Quindi l’Onu, dopo essere sceso a compromessi con l’infausto sistema giudiziario cambogiano, sta finanziando un programma che viene utilizzato dal governo di Phonm Penh per “piazzare” i suoi accoliti in posti di responsabilità.

Strano anche il fatto, fa notare Hall, che tale documento non sia stato nemmeno messo nelle mani di qualche cronista locale in cambio di qualche centinaio di dollari, visto che generalmente è così che funzionano le cose in Cambogia. Quel che più conta, però, è che essendo le Nazioni Unite una istituzione pubblica, portata avanti da fondi pubblici, il fatto che sia permesso al governo cambogiano di interferire col processo legale in corso è molto grave. Lo è ancora di più coprire eventuali accuse di corruzione da parte di organismi indipendenti e disinteressati come il NYOS. Se le notizie di cui da conto Hall venissero confermate, ci troveremmo di fronte ad uno scandalo simile a quello del programma di aiuti umanitario “Oil for Food”, rivolto agli iracheni e portato avanti dall’Onu tra il 1996 e il 2003.

Inoltre, dopo che Pol Pot è morto in casa sua nel 1998, e dopo che l’Ex-Comandante Militare dei Khmer è spirato in ospedale l’anno scorso, l’unico indagato finora, oltre a Noun Chea, sarebbe Khang Khek Ieu, anche se fonti interne al tribunale riferiscono di altri cinque possibili nomi di colpevoli. Ma è ben poca cosa. Se sul fronte legale si andasse avanti in questo modo, il milione e mezzo di vittime della violenza di Pol Pot e dei suoi uomini potrebbero non riposare mai in pace. E quel che è peggio, i loro familiari potrebbero non avere mai la soddisfazione della giustizia.