Cambridge Analytica, Trump e il popolo del web

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Cambridge Analytica, Trump e il popolo del web

17 Marzo 2018

Cambridge Analytica, l’azienda di analisi dei dati divenuta celebre seguendo le campagne sul web di Brexit e Trump, finisce nel mirino dell’ormai ammaccato superprocuratore americano Mueller. Mueller proprio non riesce a incastrare il presidente Trump sul Russiagate, il presunto scandalo sulle interferenze russe nelle presidenziali Usa, anzi, sembra che Mueller potrebbe essere presto affiancato da un’altra figura meno ostile alla Casa Bianca, mentre scendono le quotazioni di chi all’interno della amministrazione ha dato spago al superprocuratore, e circolano boatos su nuovi imminenti licenziamenti eccellenti. 

Così ai giornaloni come New York Times e Guardian non pare vero di continuare a rimestare nel torbido scrivendo l’ennesimo capitolo farlocco del Russiagate. Si accusa Cambridge Analytica di essere stata il grande burattinaio capace di manipolare il libero voto degli americani su Internet, notizia già uscita ormai molto tempo fa. L’accusa è di aver messo a punto una “app”, un’applicazione per Facebook sottoforma di questionario che il realtà sarebbe servita ad accumulare informazioni su milioni di elettori degli Stati Uniti, facilitando la vita al team Trump in campagna elettorale. 

Ieri Cambridge Analytica, che mister Facebook ha imperiosamente bannato dal popolare social media, ha smentito tutto con un tweet, ma ormai l’onda sui social stessi era montata e aveva trovato il nuovo capro espiatorio, il nuovo grande fratello, la nuova scia chimica a cui addossare la sconfitta di Hillary Clinton. Non c’è dubbio che le elezioni e le campagne elettorali nei Paesi occidentali si siano profondamente modificate nel corso degli ultimi anni e che Cambridge Analytica, società che offre anche preziosi tool di analisi dei dati a partire da qualche centinaio di dollari, disponibili per chiunque, sia stata protagonista della vittoriosa rimonta trumpista. Queste cose le ha ben raccontate a Giovanni Minoli una giovane ingegnere informatico italiana che ha lavorato in Texas con il team Trump. 

Ma stracciarsi le vesti per Cambridge Analytica, quando quotidianamente e senza remore consegniamo i nostri dati, foto e parole più private, a Facebook o veniamo profilati da Google secondo le nostre abitudini, gusti e consumi, vuol dire contribuire a creare l’ennesima fake news sul voto americano dell’anno scorso. Le presidenziali Usa non sono state decise da qualche oscura società di smanettoni o dai fantomatici hacker russi ma da milioni di americani che negli Stati decisivi per la vittoria democratica hanno cambiato idea abbandonando Obama e i Clinton e passando urne e bagagli con Trump, stanchi anche del partito repubblicano. 

Non c’è solo Cambridge Analytica dietro la vittoria di Trump sul web, ma la rivolta del cyberspazio – a cominciare da Wikileaks – contro i poteri forti democratici, insieme alla alt-right, la nuova destra americana che ha popolato Reddit e le community come 4chan, i vlogger incendiari alla Yiannopoulos e le pasionarie anti-jihadiste come Pamela Geller, tutto un universo che insieme ad Assange e agli esperti di Cambridge Analytica ha combattuto nelle trincee della Rete contro l’esercito di troll scatenati da Hillary Clinton. Ricordiamo che prima della “remontada” di Trump la Clinton aveva incontrato i vertici di Big Web, i padroni di Internet, durante un meeting rimasto segreto per poco tempo negli uffici dell’importante pensatoio repubblicano “American Enterprise Institute”. Democratici e repubblicani si riunirono terrorizzati da quello che stava per accadere cercando di mettere a punto una strategia virtuale per contenere e sconfiggere il Don. Non è servito a niente. 

Il popolo del web si è schierato con Trump, facendo lo sgambetto a Hillary. Wikileaks ha scatenato in rapida successione l’emailgate e il Podestagate, mostrando le magagne elettorali dei democratici, mentre gli ingegneri informatici di Cambridge Analytica facevano il loro lavoro dietro le quinte, connettendo gli slogan usati da Trump durante i comizi al “sentiment” della Rete, cioè a quello che proviamo e pensiamo, simultaneamente. Non c’è niente di misterioso in tutto questo e questionari come quello sviluppato da Cambridge Analytica somigliano a quelli usati dalla società di consulenza web francese che ha seguito le campagne di Obama e Macron. Anche En Marche di Macron ha usato un questionario creato sulla base di un algoritmo che ha favorito il candidato all’Eliseo.

La verità è che siamo tutti quanti immersi in un grande acquario, gli elettori naviganti protagonisti e vittime inconsapevoli di partite più grandi di loro, con una comunicazione e propaganda politica sempre meno affidata ai santini elettorali e sempre di più al web da conquistare, con altrettante fake news o verità alternative da far circolare. Detto ciò, il Russiagate langue, Mueller deve sparare le ultime cartucce disponibili, e Trump è ancora in sella, saldo e combattivo più che mai.