Cameron fa un “regalo” all’Ue dicendo ‘sì’ all’aumento del fondo Fmi

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Cameron fa un “regalo” all’Ue dicendo ‘sì’ all’aumento del fondo Fmi

10 Gennaio 2012

Probabilmente sarà stato lo spirito natalizio che invita a essere più buoni, ma un ‘dono’ del genere l’Europa non se lo sarebbe mai aspettato. Per giunta così presto. E invece (almeno a parole) lo riceverà. Parola di David Cameron che ha aperto alla possibilità di un finanziamento made in Uk destinato al Fondo Monetario Internazionale, e quindi indirettamente anche ai membri ‘malati’ dell’eurozona, che il primo ministro inglese si era fino ad ora rifiutato di aiutare.

Per il momento, scrive il Financial Times che ha riportato due giorni fa la ‘lieta’ notizia, si tratta di un incremento teorico dato che fino a questo momento nessun aumento effettivo è stato apportato al budget di 10 miliardi di sterline che sono stati stanziati a favore dell’Fmi.

Una mossa inaspettata, non solo perché giunge poche ore dopo il ‘no’ al “nefasto” – come lo ha definito Cameron – progetto Tobin tax difeso strenuamente da Nicolas Sarkozy, ma soprattutto perché arriva a meno di un mese dal rifiuto del Prime Minister di contribuire con la somma di 30 miliardi di sterline (35,6 miliardi di euro), chiesta da Christine Lagarde, al fondo di emergenza da 200 miliardi di euro predisposto dal Fmi a favore dell’Eurozona. Cameron non aveva infatti alcuna intenzione di affrontare in aula il muso duro dei deputati conservatori euroscettici oltre che di laburisti e liberal-democratici pro-europeisti ma anti-Eurozona per destinare un surplus di risorse a un’Europa a cui aveva già voltato le spalle con il veto al nuovo trattato di Bruxelles.

Qualche ora fa il cambio di rotta che, attenzione però, non sarà facile da gestire per il premier. Quella mossa inattesa, infatti, per quanto accolta dagli applausi di Germania e Francia, potrebbe essere condizionata dal difficile voto di un parlamento britannico sempre più euroscettico. C’è già chi, come il deputato conservatore Peter Bone, grida “quel che è troppo è troppo”. Senza contare che il via libera, che giungerebbe con il G20 del mese prossimo, potrebbe anche essere condizionato da un eventuale incremento del contributo di paesi come Giappone, Cina e Brasile che parteciperanno al summit.

Alla luce di questa prova del fuoco interna, cosa ha spinto, dunque, David Cameron a fare dietrofront? Probabilmente lo spettro di 3 milioni di britannici destinati alla disoccupazione più nera, agitato da gotha del busines britannico e uomini d’affari del Regno Unito – da Richard Branson di Virgin a Sir Mike Rake di British Telecom – che vedono la permanenza dell’Inghilterra nel cuore dell’Ue l’unico modo per evitare il tracollo occupazionale. Del resto le acque d’Oltremanica sono da mesi molto agitate e sembrava inevitabile quanto imminente lo strappo con l’Europa ma anche col suo secondo uomo, Nick Clegg, sfrenatamente europeista (al contrario suo) e che in queste settimane ha risposto tra mille imbarazzi alle domande di quanti gli chiedevano se il primo ministro avesse “sacrificato l’interesse della nazione a quello del partito”.

Delle condizioni che hanno alzato posta in gioco e che hanno portato Cameron a fare con molta probabilità un "esame di coscienza". Ma il buonismo natalizio, forse, non c’entra poi così tanto.