Cameron mette la parola fine a multiculturalismo ed estremismo islamico

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Cameron mette la parola fine a multiculturalismo ed estremismo islamico

12 Febbraio 2011

“Il multiculturalismo ha fallito”, ha detto il primo ministro britannico David Cameron lo scorso fine settimana a Monaco. Se qualcuno ha pensato di aver letto parole del genere in precedenza è perché l’ha fatto. E molte volte. Lo scorso ottobre il cancelliere tedesco Angela Merkel (seduta sul palco insieme a Cameron durante il suo discorso di sabato) ha detto la stessa cosa. Alla fine pare che i leader dei principali partiti europei stiano capendo quello di cui altri si sono già accorti da molto tempo. Il multiculturalismo è stata la più perniciosa e divisoria delle politiche portate avanti dai governi occidentali sin dalla seconda guerra mondiale.

Il multiculturalismo è un’idea profondamente fraintesa, e questa è stata una delle ragioni del suo successo politico. La gente è stata portata a credere che “multiculturalismo” significasse multirazzialità o pluralismo. Non è così. Eppure per anni chiunque muovesse critiche nei confronti del multiculturalismo è stato immediatamente bollato come “razzista”.

Ma il vero carattere e gli effetti della politica non possono essere celati in maniera permanente. Il multiculturalismo sponsorizzato dallo stato ha trattato le nazioni europee come fossero osterie. Ha ritenuto che lo stato non dovesse “imporre” regole e valori ai nuovi arrivati. Piuttosto, esso deve farsi in quattro per venire incontro alle richieste degli immigrati. Ne è risultata una politica per cui gli stati hanno trattato e giudicato le persone in base ai criteri di qualunque “comunità” all’interno della quale queste si sono trovate a nascere.

In Gran Bretagna, per esempio, ciò ha finito per significare che nel caso di una ragazza inglese di razza bianca nata in una famiglia inglese bianca la cui famiglia avesse deciso di farla sposare contro la sua volontà con un pervertito vecchio e lascivo, lo stato sarebbe intervenuto. Ma, nello stesso caso, se la ragazza in questione avesse avuto la sfortuna di nascere in una famiglia dal “background asiatico”, lo stato si sarebbe voltato dall’altra parte.

Nel 1984, il preside di una scuola britannica di nome Ray Honeyford aveva educatamente suggerito in un articolo pubblicato sulla Salisbury Review che poteva essere una buona idea se gli studenti della sua scuola sovvenzionata dallo stato fossero in grado di parlare inglese e che non sparissero in Pakistan per mesi un po’ alla volta. Il risultato è stato un coro di accuse di “razzismo” che ha deliberatamente ignorato i suoi ragionamenti e che ha accelerato la fine della sua carriera.

Il modello multiculturale sarebbe potuto andare avanti molto più a lungo se non fosse stato per l’islam radicale. Gli attentati e i complotti terroristici in Gran Bretagna e in Europa – spesso ad opera di estremisti cresciuti sul territorio nazionale – ha condotto a un punto di rottura che poche persone dotate di senno possono ignorare. La domanda adesso è cosa si può fare.

Nel suo discorso di Monaco, Cameron ha giustamente concentrato l’attenzione sul problema dell’estremismo islamico cresciuto sul suolo nazionale. Ha messo in evidenza diversi passi preliminari, tra i quali quello di non elargire più il denaro dei contribuenti a quei gruppi i cui valori sono in opposizione a quelli dello stato. Il fatto che smettere di sovvenzionare gli avversari delle nostre società costituisca un passo avanti è sintomo di quanto siamo caduti in basso.

Ma questa è una prima e non definitiva politica. Il fatto è che la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda e molte altre nazioni europee hanno allevato più d’una generazione di cittadini che sembrano non provare alcun sentimento di lealtà nei confronti del proprio paese e che, al contrario; molto spesso paiono disprezzarlo.

Il primo passo in avanti è che, dall’età scolare in poi, le nostre società devono riaffermare una narrativa nazionale condivisa e una cultura nazionale comune. Alcuni anni fa lo scrittore musulmano tedesco Bassam Tibi ha coniato il termine “Leitkultur” – la “cultura guida” – per descrivere tutto ciò. È l’antidoto più onesto e propriamente liberale al multiculturalismo. Esso riconosce che nelle società che hanno avuto un alto tasso di immigrazione ci sia ogni genere di culture diverse che potranno cooperare solo se unite da un tema comune.

Le comunità musulmane su cui Cameron ha concentrato l’attenzione non riformeranno se stesse. Così il governo britannico dovrà smantellare e perseguire terroristi e organizzazioni estremistiche, comprese alcuni “enti di beneficenza”. Esistono gruppi che sono banditi negli Stati Uniti ma che ancora possono operare e operano nel Regno Unito a scopo filantropico. Religiosi e altri individui che vengono dall’estero per predicare odio e divisione dovrebbero essere espulsi.

Riuscirà Cameron a fare qualcuna di queste cose? C’è ragione di essere scettici. Subito dopo le bombe su metro e autobus di Londra nel 2005 – attacchi eseguiti da musulmani nati in Gran Bretagna – Tony Blair aveva annunciato che “le regole del gioco stanno cambiando”. Poi, sono rimaste le stesse.

Non è da escludere che Cameron dimostrerà un maggiore coraggio politico. Se dovesse farlo, non c’è dubbio che sarà aspramente biasimato dai difensori del multiculturalismo. Ma diventerà anche un leader significativo. Se invece non lo facesse, le generazioni future potranno associarlo a ragione a Monaco. Ma non sarà per il discorso di sabato. Sarà con un altro primo ministro che, come lui, si era recato in quella città e che ne era tornato con un riconoscimento che si è dimostrato estremamente provvisorio.

© The Wall Street Journal
Traduzione Andrea Di Nino
 

Douglas Murray è Direttore del Centre for Social Cohesion di Londra.