Cameron sta dimostrando di saper guidare con Clegg
28 Luglio 2010
"Nonostante i tagli alla spesa pubblica, la disoccupazione, l’erosione delle pensioni e la possibilità di una recessione ancora più profonda la coalizione Cameron-Clegg è popolare perché nell’esercizio quotidiano del potere appare più umana, ragionevole e dotata di buon senso di quanto lo siano stati Blair e Brown nei loro ultimi 5 anni". A scriverlo è Henry Porter autorevole columnist del Guardian e dell’Observer e non necessariamente simpatizzante della coalizione conservatori-liberalidemocratici da meno di tre mesi alla guida del Regno Unito.
È infatti troppo presto per fare qualsiasi bilancio dell’azione del governo Cameron, specie sul terreno più aspro delle misure di risanamento economico. Ma di certo si può osservare che il duo Cameron- Glegg riscuote le simpatie del paese grazie ad un tono più leggero impresso al dibattito pubblico, una cifra "pop" e ironica della loro comunicazione e a un approccio non ideologico ma di buonsenso ai problemi del paese. Lo hanno dovuto riconoscere anche molti dei loro oppositori, specie quelli che pronosticavano un rapido deterioramento del rapporto tra i due giovani e ambiziosi leader davanti alle dure necessità dei conti pubblici.
Ora, al contrario, per prenderli in giro, li hanno ribattezzati la "Brokeback Coalition" con un chiaro riferimento agli amorosi sensi tra i due cow boy del film di Ang Lee. Rientra in questo idillio tra i due l’ancora misterioso progetto chiamato "Big Society". Cameron ne ha parlato di recente alla Hope University di Liverpool, ma il discorso era strettamente concordato con Glegg.
Si tratta, ha spiegato il premier, "della più grande redistribuzione di potere dalle elites di Whitehall agli uomini e alle donne della strada". Lo slogan sarebbe dunque "più società, meno Stato". Per ora c’è solo questo ma sembra funzionare. Così, con il fronte interno tamponato da una sapiente operazione stilistica, Cameron si è potuto dedicare con maggiore concentrazione e dispiego di risorse diplomatiche al restauro dell’immagine dell’Inghilterra nel mondo. E anche qui il bilancio è piuttosto incoraggiante.
Appena un anno fa una impietosa copertina del News Week recitava "Shrinking Britannia" ("la Gran Bretagna si restringe" ndr.) e suggeriva di ribattezzare il paese "Little Britain". Oggi le cose non sono molto diverse da allora in termini sostanziali, ma quell’aura negativa di ripiegamento e di depressione tipica dell’ultimo Brown è stata spazzata via dall’intraprendenza cameroniana. Il suo primo incontro da premier con Barack Obama non nasceva esattamente sotto una buona stella: con la marea nera di Bp a mettere in crisi la "relazione speciale" tra Usa e Uk e l’imbarazzante vicenda, ancora non digerita, della liberazione del terrorista libico al-Megrahi da parte della magistratura scozzese, l’unico in carcere per l’attento di Lockerbie.
Eppure molti riconoscono a Cameron di esserne uscito indenne, di aver difeso l’azienda petrolifera inglese dalla brama di spoliazione da parte dei concorrenti americani, cedendo solo sulla testa dell’amministratore delegato Tony Hayward, già dato comunque per spacciato.
Mentre, con il suo tratto non ideologico, ha provato a dare nuovo vigore alla relazione speciale tra i due paesi, liberandola da impacci retorici e portandola sul terreno del reciproco e attuale interesse. Lo si è visto nel successivo viaggio in Turchia, dove Cameron ha rotto l’apatia europea sul tema dell’ammissione di Ankara nella Ue e si è allineato con forza alle richieste americane di far ripartire la trattativa ormai ferma dal 2005. Una questione che interessa molto Washington per motivi di sicurezza e altrettanto Londra per motivi commerciali ed economici. Gli stessi motivi per cui Cameron è oggi in India e per questo i suoi avversari lo hanno descritto come un leader con "il cappello in mano".
Ma lui non si è fatto intimidire: anzi. Ha portato a New Deli una delegazione cinque volta più ampia di quella che aveva negli Usa e non sembra avere alcun imbarazzo a tornare da questuante lì dove una volta gli inglesi avevano un impero. Il non avere nostalgie è uno dei tanti vantaggi di essere nati nel 1966.
Tratto da Il Tempo.