Campania. Il Pdl non può sottovalutare l’appeal di De Luca, l’uomo del fare
24 Febbraio 2010
Per svolgere una breve analisi della situazione politica campana, in vista delle prossime elezioni regionali, conviene partire da una dichiarazione fatta da Berlusconi qualche settimana addietro. Il presidente del consiglio, parlando proprio delle candidature alle regionali, ha ricordato che, in occasione di queste votazioni amministrative, gli elettori non scelgono in base a criteri di schieramento, ma si regolano secondo un calcolo più spicciolo. Cercano, cioè, di capire le capacità gestionali delle persone proposte. Quantificando questo orientamento, ha detto che il 60% degli elettori sceglie sulla base del candidato alla carica di sindaco o di governatore.
La leadership di Berlusconi risulta spesso indigesta ai puristi della politica, tuttavia anche i suoi più convinti detrattori dovranno convenire su di un punto: quando il cavaliere parla di sondaggi o di percentuali occorre ascoltare con attenzione quello che dice tentando di fare tesoro delle sue indicazioni.
Applicando la suggestione berlusconiana alle prossime elezioni regionali della Campania possiamo dire che il centro sinistra è riuscito a presentare un candidato molto più attraente, in grado cioè di incontrare il consenso dell’elettore fluttuante o indeciso (che, come si è visto, costituisce oramai la maggioranza degli elettori), di quanto non sia il candidato del centro destra. Senza nulla togliere alle qualità personali di Stefano Caldoro, infatti, Vincenzo De Luca ha alle spalle un curriculum più capace di attirare consensi in modo trasversale. Sindaco di Salerno per tre consiliature, ha incarnato con un piglio sicuro la figura del politico deciso, dell’amministratore in grado di imporre le sue scelte con fermezza, al di là delle ragioni del bizantinismo politico. Uno stile improntato, insomma, alla "politica del fare" capace di rivolgersi, al di là degli schieramenti, all’elettore comune. Il profilo di Caldoro è del tutto diverso, non solo perché più interno alla logica dello schieramento cui appartiene, ma anche per altri fattori biografici. Il candidato del centro destra non ha alle spalle una esperienza di amministratore, inoltre proviene da una famiglia nella quale si è sempre fatto politica (il padre era uno stimato deputato socialista). Una figura, insomma, meno capace di trascendere gli schieramenti, appellandosi all’elettorato poco politicizzato.
Il vantaggio di Caldoro è un altro: l’eredità negativa del centro sinistra. L’amministrazione regionale uscente ha riscosso critiche unanimi. Soprattutto dopo lo scandalo di rifiuti in Campania, la presidenza Bassolino è assurta a emblema di inefficienza e incapacità gestionale. In sostanza, gli elettori sembrano propensi all’alternanza non fosse altro che per la fallimentare gestione dell’ultimo decennio.
La campagna elettorale, allora, sembra riassumersi tutta in questo motivo: riuscirà Caldoro a mantenere il vantaggio di partenza (si parla di sette o otto punti percentuali); oppure De Luca sarà capace di sovvertire i pronostici presentandosi con un potenziale di discontinuità tale da rassicurare gli elettori tiepidi o indecisi?
Rispetto a questo scenario occorre considerare la variabile dei centristi dell’Udc, che hanno deciso di sostenere il candidato del centro destra. In Campania il partito di Casini vanta una roccaforte di non trascurabile peso nell’avellinese. Sono quelli che si possono chiamare i voti di De Mita. Anche in caso di un forte recupero di De Luca l’alleanza con l’Udc dovrebbe assicurare la vittoria al centro destra.
Tuttavia questa scelta presenta una non lieve controindicazione per il dopo elezioni: trovarsi con una forte ipoteca di parassitismo e di inefficienza in aree centrali per il riassetto della macchina amministrativa regionale, in primis la sanità. Nella pessima gestione del centro sinistra, infatti, non va trascurato la partita passiva costituita dalla componente demitiana, a lungo organica al Pd. Al dilemma principale se ne può aggiungere perciò uno aggiuntivo: al centro destra conviene allearsi con l’Udc rischiando di rimanere, subito dopo il voto, senza il necessario smalto riformatore? Non è difficile immaginare la risposta che può essere data a un simile interrogativo: adesso importa vincere le elezioni, poi si vedrà come operare per il meglio.
Preso atto del realismo della scelta operata in Campania converrà limitarsi, allora, a una considerazione di ordine generale. Anche visto da un punto di osservazione particolare, come quello di una singola regione, il sistema politico italiano arriva a queste elezioni amministrative ancora in mezzo al guado, condizionato com’è da un formato partito pletorico, che rischia di rendere opache le scelte dell’elettorato. Dopo il voto di fine marzo occorrerà ripartire da qui, sciogliendo finalmente il nodo della transizione.