Caos liste, Berlusconi punta sul decreto legge ma il Colle dice no

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Caos liste, Berlusconi punta sul decreto legge ma il Colle dice no

04 Marzo 2010

Tre opzioni per uscire dal caos delle liste elettorali in Lombardia e nel Lazio. E’ la carta che Silvio Berlusconi gioca salendo al Quirinale al termine di un’altra giornata carica di tensione che solo a tarda sera regala al Pdl una boccata d’ossigeno: l’ok della Corte d’appello alla riammissione del listino regionale collegato a Renata Polverini. Un faccia a faccia durato un’ora ma che non basta a chiudere definitivamente il caso, perchè Napolitano avrebbe espresso contrarietà sul ricorso a un decreto legge e sul mancato accordo con le opposizioni su un tema così delicato. Meglio una legge condivisa da tutti, sarebbe l’indicazione del Colle.

Oggi il consiglio dei ministri valuterà il da farsi, in attesa di capire se tra maggioranza e opposizione ci saranno margini per un’intesa. L’ipotesi sulla quale il Cav. punta è quella di un decreto legge che posticipi la scadenza dei termini per la presentazione delle liste elettorali in Lombardia e nel Lazio senza spostare la data del voto. Del resto, esiste un precedente autorevole che spinge la maggioranza a ritenere questa via percorribile: nel ’95 l’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro firmò un dl che spostò la scadenza dei termini per la presentazione delle liste di quarantottore (dalle 12 del 29 marzo alle 20 del 31 marzo). In alternativa, c’è la proposta di un decreto "interpretativo" che consenta di allentare le maglie delle norme sulla presentazione delle liste e, come estrema ratio, un dl che posticipi le elezioni regionali in un arco di tempo compreso tra aprile e giugno.

In quest’ultima opzione rientrerebbe anche il voto per le comunali a Bologna, tema sul quale, tra l’altro, sarebbe possibile trovare un punto di mediazione con le opposizioni che tuttavia anche ieri hanno fatto muro respingendo in blocco le proposte del centrodestra. Quel che è certo è che il centrodestra non sembra intenzionato a lasciare ai giudici del Tar la decisione su chi correrà in due regioni strategiche per l’esito del voto di fine marzo. Lo fa capire Roberto Formigoni che chiede il controllo di tutte le altre liste e annuncia denunce per irregolarità che sarebbero state commesse dall’ufficio centrale regionale che ha accolto il ricorso dei radicali e contro chi avrebbe potuto manomettere le liste con le firme.

La lunga giornata del Cav. inizia con il vertice a Palazzo Grazioli coi vertici della Lega (Bossi auspica una "soluzione politica") e prosegue con l’ufficio di presidenza del Pdl durante il quale il premier insiste su due punti: unità nel partito, non è il momento di acuire gli scontri interni, tantomento di alimentare un clima da resa dei conti. Per questo la sollecitazione è ad abbassare i toni, anche per questo Berlusconi decide di non partecipare alla manifestazione del Pdl con la Polverini in piazza Farnese. Un gesto che viene letto come un segnale di apertura nei confronti dell’opposizione, ma che tuttavia non basta a stemperare il clima di netta contrapposizione tra i due schieramenti. Bersani dice che le regole non si cambiano in corso d’opera, per Di Pietro se passasse una cosa del genere sarebbe un "golpe", entrambi arroccati nel sostenere che l’unica via possibile è e resta la decisione del Tar.

L’altro punto sul quale il Cav. insiste è l’eccessivo fiscalismo di alcuni magistrati che hanno avuto un atteggiamento troppo rigido: la conseguenza è quella che definisce un "sopruso di cui è vittima il Pdl". Concetto che sottolinea con una battuta amara: è curioso – dice il Cav. ai suoi – che noi mandiamo i militari italiani per garantire il voto in Afghanistan e poi non ci venga garantito il diritto di voto in Italia. Ma al di là delle posizioni in campo, il punto vero sta nel rischio di un’involuzione del processo democratico, perchè la forma non può prevalere sulla sostanza – è il ragionamento nei ranghi pidiellini – e la sostanza è garantire il gioco democratico e tutelare l’espressione del voto di quindici milioni di elettori.

Non a caso c’è chi ricorda come ai tempi della prima Repubblica casi analoghi a quelli del Lazio e della Lombardia si sono sempre verificati, ma la differenza sostanziale tra ieri e oggi sta nel fatto che democristiani e comunisti "facevano di tutto per risolvere il problema" e il problema è evitare una vittoria a tavolino che di fatto penalizzerebbe il confronto democratico tra forze politiche. "A parti rovesciate, noi non ci opporremmo come invece sta facendo Bersani", osserva un autorevole esponente del Pdl.

Nella giornata concitata che si snoda tra Palazzo Grazioli, Palazzo Chigi e il Quirinale si infila anche Alfredo Milioni, presidente del XIX municipio di Roma finito al centro della bufera sulla mancata presentazione della lista del Pdl. I cronisti lo intercettano mentre entra nel palazzo del governo con una cartella di fogli per poi uscire senza. Lui nega di aver consegnato memorie o dossier ma fa capire chiaramente che non riuncerà a spiegare la sua versione dei fatti e a respingere le accuse. Lo farà, probabilmente con una conferenza stampa, ma intanto consegna ai microfoni e ai taccuini dei giornalisti una frase sibillina che dà il senso del livello di tensione che agita il Pdl romano: "La vendetta è un piatto che va mangiato freddo". Messaggio in  codice per qualcuno?