Caro Economist, se Berlusconi piange Obama non ride
24 Giugno 2011
Cambridge, USA: Le dure parole del recente editoriale dell’Economist ancora bruciano sulla pelle di tutti gli italiani a prescindere dalla loro posizione politica, ceto economico o residenza in Italia o all’estero. Un’analisi critica delle tesi formulate dal mensile americano si è recentemente imposta all’attenzione dell’opinione pubblica non solo per l’autorità del referente giornalistico ma soprattutto per la particolare fase politico-partitica che il nostro paese sta vivendo. Roma e l’Italia intera si trovano di fronte a una situazione di stallo economico per la quale è stato invocato un urgente e strutturale intervento del governo, e che utopisticamente dovrebbe essere coadiuvato dall’appoggio dell’opposizione per il reale bene sociale della nostra nazione.
L’esecutivo ha infatti più che mai bisogno di superare le critiche interne ed esterne alla maggioranza, e più in generale a tutto il paese, ma a ben guardare l’attuale situazione internazionale nessun governo occidentale sta lavorando con il vento in poppa: la Germania è alle prese con un aspro dibattito sul piano energetico, la Francia con l’utilità di proseguire il proprio impegno in prima persona in Libia e negli Stati Uniti il Presiente Obama stenta ancora a riscuotere il successo che lo aveva accompagnato alla Casa Bianca nell’inverno 2009. A tal proposito bisognerebbe infatti ricordare ai giornalisti dell’Economist che sul piano etico e morale, cioè quello sul quale le critiche al nostro paese si fanno più aspre, se Atene piange Sparta non ride affatto…
E’ infatti appena stata resa pubblica un’autorevole analisi condotta sull’attuale posizione ricoperta nell’amministrazione pubblica americana da alcuni dei principali sponsor e fundraisers della campagna politica condotta con incredibile successo dal Presidente Obama nel 2008. Nella sua dettagliata analisi a oltre due anni dalla tornata elettorale il Center for Public Integrity ha infatti evidenziato che oltre 200 dei principali supporters della campagna presidenziale democratica (per intenderci coloro che all’epoca avevano finanziato la macchina elettorale dell’elefantino con almeno 50.000 USD) rivestono attualmente ruoli di leadership o consulenza nel governo stesso o più in generale nell’amministrazione americana. Ma il tasto più dolente è quello toccato dal gruppo indipendente Watchdog che ha denunciato negli scorsi giorni il preoccupante coinvolgimento di molti dei succitati “referenti” della campagna elettorale americana negli eventi esclusivi e privati della casa Bianca a cui hanno libero accesso, talvolta ottenendo contratti federali milionari a favore esclusivo dei loro interessi personali più che degli interessi del popolo a stelle e strisce.
Il dibattito sull’integrità delle istituzioni, che dovrebbero avere a cuore il benessere dei cittadini piuttosto che dei vari attori politici od economici, è più che mai attuale anche oltreoceano e partendo dalle piccole e spesso stiminzite colonne dei quotidiani sta pian piano coinvolgendo il Congresso stesso non solo tra gli esponenti Conservatori ma anche fra i banchi dei Democratici. Il ritratto che emerge a tinte fosche dall’analisi condotta dal Center for Public Integrity è che l’etica pubblica e sociale è ancora completamente scollegata dagli alti principi di integrità che dovrebbero animarla. Questa considerazione dovrebbe pertanto condurre non a una strumentalizzazione in un senso o nell’altro dei dati emersi ma piuttosto a un maggiore impegno da parte di tutte le istituzioni per ritrovare la coerenza che i cittadini richiedono a gran voce per tornare a credere alla politica ed ai suoi rappresentanti, classe gionalistica inclusa.
Nessuno insomma ha al momento la possibilità di ergersi a paladino della morale o del “politically correct”; e ancora una volta come è sempre capitato nella storia moderna dell’umanità le sacre parole scritte dal più antico ed autorevole degli editorialisti risuonano nelle nostre orecchie: chi è senza peccato scagli la prima pietra.