Caro Paolo, ho sempre visto la precarietà come una stortura
26 Gennaio 2010
Caro Paolo,
stavo riflettendo sul pezzo di qualche giorno fa di Roberto Santoro sui "Bamboccioni" e i professori universitari. Due sono le cose che mi hanno colpito: l’idea che la precarietà possa essere un’arma in mano a noi giovani e l’inadeguatezza del sistema universitario al ricambio generazionale.
Ho sempre visto la precarietà come una stortura, un difetto di un mercato del lavoro che per stare al passo con quello degli altri deve rendersi elastico anche oltre il limite di rottura. Mi servono giovani per un’attività a contatto con i clienti o per un’attività di ricerca? Ci sta che non li assumo per sempre. Socialmente e moralmente non è l’atteggiamento migliore che potremmo aspettarci da un imprenditore o da un manager, ma lo accetto.
Accetto anche una chiave di lettura selettiva del fenomeno. Organizzo stages di alcuni mesi e poi (eventualmente) assumo i migliori o i più adatti . La competizione è sempre positiva, ad armi pari chiaramente. Però che sia un mezzo per i neolaureati tramite il quale "dimostare se hanno voglia di trovare il posto che gli spetta nella società" mi sembra un po’ troppo. Parlando del ramo che mi interessa – quello scientifico – prendiamo un giovane con una laurea e magari un dottorato di ricerca o dei master; beh, credo che sia stato fatto molto a questo proposito. Dobbiamo ancora appurare che ho i mezzi e la voglia necessaria per ottenere quanto mi spetta? Non credo. Questi elementi dovrebbero essere valorizzati e prima di tutto ricercati. E qua è lo Stato che deve fare qualcosa, non il precario. Credo nella competizione, anche spietata, ma non a vita.
Anche nell’università lo Stato deve fare qualcosa. Perché se speriamo che i professori vadano in pensione da soli, questi tengono le cattedre a vita e vengono, eventualmente, rimpiazzati dai loro protetti. Non mi sento però di criticare i professori stessi. Né di metterli sullo stesso piano dei "bamboccioni". Se questi ultimi hanno paura di crescere perché poi dovranno impegnarsi sul serio col lavoro, i professori hanno paura di "crescere" perché dovranno abbandonare quello per cui hanno faticato una vita. Se, come credo tutti, vogliamo che i "professionisti" dei quali ci "serviamo" siano competenti, facciano seriamente il proprio lavoro, non possiamo pretendere che non lo amino e lo abbandonino solo perché sono su con gli anni ed altri vogliono prendere il loro posto. Penso farei lo stesso anche io. E’ chiaro a questo punto che debba essere lo Stato ad impedire le cattedre a vita e ad "obbligare" il ricambio.