«Cashless society? La libertà di scelta non può essere limitata»
07 Maggio 2021
Il Cashback di Stato non appare tra i provvedimenti che saranno finanziati dal PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che l’Italia ha presentato alla Commissione europea nell’ambito di Next Generation EU. Né, al momento, c’è chiarezza sul destino del provvedimento preso nel giugno scorso dal Governo Conte Bis, per contrastare l’evasione fiscale puntando sui pagamenti elettronici. Il Cashback di Stato ha sollevato molte critiche e un aspro scontro politico in Parlamento, ma nello stesso tempo ha aperto una discussione nel merito della transizione in atto verso nuove forme di pagamento alternative all’uso del contante. In attesa di comprendere se ci saranno delle correzioni al provvedimento, o se la misura non verrà rinnovata dal Governo Draghi, è opportuno approfondire quali sono state le ricadute del Cashback su diversi settori della nostra economia. Ne parliamo con Antonio Staino, presidente di Assovalori, l’associazione che da oltre 40 anni rappresenta il mondo del trasporto valori in Italia.
Presidente Staino, ora che non c’è più la ‘coperta’ dei fondi europei che ne sarà del Cashback di Stato? E’ utile finanziarlo nell’ambito del bilancio nazionale?
Questo lo deciderà la politica, se mai vorrei provare a fare un ragionamento più articolato sul settore del trasporto valori che rappresentiamo. Siamo parte integrante di un comparto essenziale per l’economia italiana che è quello della sicurezza privata. In Italia, la filiera del trasporto valori conta almeno 10mila occupati e decine di aziende che negli ultimi anni hanno fatto investimenti rilevanti per garantire alti standard tecnologici e di qualità ed in particolare per il contrasto al riciclaggio. Aggiungo che, da quando è iniziata la pandemia, gli operatori della sicurezza privata hanno continuato a garantire il presidio e il controllo di servizi irrinunciabili per le Comunità, come l’approvvigionamento ai Bancomat, agli uffici postali per i pagamenti delle pensioni ed al ritiro degli incassi dalla GdO.
Sì, ma cosa c’entra questo con il Cashback?
Ci arrivo, se mi lascia spiegare. La crisi economica ha fatto lievitare i costi di gestione aziendali, ha contratto la movimentazione del contante rendendo meno sostenibili le nostre attività, mentre è cresciuto il numero degli occupati in cassa integrazione…
Non siete i soli a pagare il prezzo della crisi, purtroppo.
Certamente, ma se a tutto questo aggiunge anche la demonizzazione che è stata fatta nell’ultimo anno sull’uso del contante, comprenderà che misure come il Cashback finiscono per penalizzare ulteriormente settori come il Cash in transit, che sono già stati messi in ginocchio dal Covid-19, con una riduzione netta delle entrate per le aziende e un aumento dei rischi per l’occupazione.
Il Cashback non doveva servire a contrastare l’evasione fiscale?
Dai dati disponibili non mi sembra che vi sia una correlazione diretta tra la limitazione dell’uso del contante e risultati più incisivi nella lotta all’evasione, piuttosto un vantaggio per le società (oramai tutte estere) che gestiscono la cosiddetta ‘moneta di plastica’ che non sostengono più il costo del ricircolo del denaro e traggono profitto dalle commissioni. Per cui negli esercizi commerciali più piccoli non c’è stato un aumento dei pagamenti elettronici per contrastare l’evasione, che era un obiettivo primario del Cashback.
Proviamo ad allargare il tiro. Andiamo davvero verso la “cashless society”, la società senza contanti?
Considerato che sia la nostra Costituzione che i trattati europei sono garanti della libertà individuale, e quindi anche di quella sulle forme di pagamento, a mio parere il massimalismo spesso e volentieri è sinonimo di vantaggio e interesse di poteri forti. Del resto non c’è dubbio che i pagamenti digitali rappresentino un’alternativa al denaro contante, ma poi ogni Paese si regola sulla base delle proprie abitudini consolidate. Nel Nord Europa si usano di più le carte di credito, in Italia il contante rimane il mezzo di pagamento più diffuso.
Italia maglia nera in Europa?
Metterla così a me pare semplicistico. Proviamo invece ad essere realisti: l’età media della popolazione italiana è alta, così com’è è alto il numero di Comuni italiani che si trovano in zone ancora non del tutto coperte dalla Rete. Costringere gli italiani a usare i pagamenti elettronici può nuocere a determinati gruppi sociali, più abituati a utilizzare il denaro contante, e inibire altri che non possono accedervi per i più svariati motivi, uno tra tutti essere segnalati nella banca dati della Centrale dei rischi. In secondo luogo, ritengo che la libertà di scelta delle persone non debba essere limitata.
Adesso c’è anche l’Euro digitale…
Benvenuto l’euro digitale se l’approccio verso i diversi metodi di pagamento resterà neutrale e se verrà garantita la continuità operativa dei pagamenti anche nei casi di emergenza come gli attacchi informatici. Segnalo che i risultati della Consultazione pubblica sull’euro digitale voluta dalla BCE evidenziano una forte richiesta di sicurezza digitale e di tutela della privacy da parte dei cittadini europei. Il crimine informatico è cresciuto durante la pandemia. Un italiano su tre non si sente sicuro quando fa operazioni bancarie on line, uno su quattro teme di usare i pagamenti elettronici per fare acquisti online. Numeri che salgono in base all’età e alla alfabetizzazione. Il rischio è di nuovo quello di escludere piuttosto che includere.
Cosa può fare il Governo per il settore del Cash in Transit?
Auspichiamo che vi sia un dialogo costante tra Governo e mondo della sicurezza privata. Per quanto riguarda il comparto del Cash in Transit, la nostre aziende necessitano di una riduzione concreta degli oneri fiscali e previdenziali, insieme a forti misure di sostegno al reddito per i lavoratori. Solo in questo modo riusciremo a superare l’emergenza e a mantenere i livelli occupazionali nella intera filiera.