Casini alza la posta ma il Cav. boccia le larghe intese e i veti di Bossi all’Udc
13 Luglio 2010
Il termometro della maggioranza segna una tacca sotto il livello di guardia. I fronti aperti cui Berlusconi deve mettere mano sono molteplici e tutti delicatissimi: dal capitolo correnti nel Pdl, al gelo con Fini, alla proposta centrista di un governo di larghe intese per finire con l’inchiesta sulla cosiddetta "P3" che si allarga ad altri due esponenti di punta del partito. In mezzo, la manovra che dopodomani approda nell’Aula di Palazzo Madama.
Il giudizio sulle correnti non cambia, non se ne parla, non devono esistere è l’imperativo del Cav. che tuttavia "promuove" Liberamente la fondazione di Frattini, Gelmini, Carfagna e Prestigiacomo che tanto irrita lo stato maggiore del partito, ma a condizione che non diventi una mini-galassia a se stante dentro il partito.
Un modo per stoppare le polemiche di questi giorni riaccese dall’evento di Siracusa voluto dalle tre ministre ma trasformatosi subito in un passo falso sul piano politico che rischia di scavare un solco sempre più profondo nel già lacerato partito siciliano e al tempo dà l’impressione di un gioco di sponda con l’ala finiana che a livello regionale sta coi ribelli di Miccichè e dunque contro i lealisti di Alfano e Schifani.
Con una buona dose di diplomazia, il premier lascia che la neonata fondazione faccia il suo cammino seppure con paletti precisi: non dovrà mai trasformarsi in corrente. Come a dire: intanto lavorate, portate idee e contributi per rafforzare il partito, ma io vi tengo d’occhio.
Una mossa al rilancio attraverso la quale placare le sollecitazioni dei vertici Pdl che isistono sullo stop alla correntizzazione del partito. Se le prove tecniche di dialogo con l’Udc di Casini sono in cantiere da tempo, ciò che molti esponenti pidiellini ritengono "inaccettabile" è che sia il leader centrista a dettare le condizioni per un riavvicinamento al Cav.
E le condizioni non possono essere di certo un governo di larghe intese che lo stesso Casini evoca dalle colonne del Corsera, scatenando a stretto giro la reazione che il premier affida ai suoi e che suona così: ipotesi impossibile dal momento che presuppone una crisi di governo, eventualità che il Cav. non vuole sentire nemmeno nominare.
Tuttavia ciò non significa chiudere la porta all’idea di riallacciare il filo spezzato tre anni fa con la svolta del Predellino. Nonostante le dichiarazioni altisonanti di Cesa (non entreremo mai in questo governo), i contatti vanno avanti anche se – è opinone diffusa nel centrodestra – di tempo ce ne vorrà e molto per capire se ci sono le condizioni, magari partendo da convergenze su atti parlamentari, quali ad esempio i dossier sulle riforme costituzionali.
E il tempo in questo caso gioca a favore del Cav. che può usarlo per mediare con la Lega che oggi tuona contro l’idea di una liason coi centristi. Ma il premier ne ha anche per l’alleato di ferro al quale manda un avvertimento, facendo intendere con non accetterà i diktat di via Bellerio.
A chi conviene (politicamente) l’accordo con l’Udc? Se si guardano i protagonisti in campo la prima risposta è : un pò a tutti. A Berlusconi, per disinnescare in Parlamento (specie alla Camera) la "mina" dei finiani. E qui i numeri parlano chiaro: trenta deputati fedelissimi dell’inquilino di Montecitorio contro i trentanove in quota Udc fanno la differenza.
A Casini, sempre più consapevole (soprattutto dopo le regionali) che a sinistra per lui e il suo partito non c’è alcuno spazio e che l’unico terreno di confronto (e di consenso) resta l’alveo del Pdl. Ai finiani, che con Urso inneggiano all’accordo con Casini in chiave anti-Lega. E forse pure a Bossi – nonostante i no dichiarati pubblicamente – che ha bisogno di una maggioranza solida e compatta per portare a casa l’unico risultato al quale il Carroccio è appeso: il federalismo. Ma la strada è ancora lunga e per nulla in discesa.
Il premier lo sa e per questo – osservano dal suo entourage .- lavora sulla media-lunga distanza. Quanto a Fini, la linea non cambia: resta infatti una sorta di disinteresse verso le rimostranze e gli attacchi che gli uomini del presidente della Camera quotidianamente affidano ai media, perchè la strategia di fondo è aspettarli al varco, nell’unica condizione che conti: in Parlamento, al voto sugli atti del governo e della maggioranza (intercettazioni e manovra in testa).
L’altro fronte caldo sul tavolo del premier è l’inchiesta sulla cosiddetta "P3". Oltre al coinvolgimento del coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini che respinge ogni addebito, a finire nel registro degli indagati con l’accusa di associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi sulla costituzione delle associazioni segrete, sono il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino e il senatore Marcello Dell’Utri.
Un caso di cui si sta occupando anche Berlusconi: nessun commento ufficiale è la posizione, ma dai ranghi della maggioranza non si nasconde una certa perplessità su alcune leggerezze che andranno chiarite. Ma da qui a pronunciare verdetti preventivi ce ne corre, come invece vanno facendo da alcuni giorni i finiani con il pasdaran Bocchino che chiede la testa di Verdini (come ha già fatto per Brancher, Scajola e lo stesso Cosentino).
Contro di lui si scagliano Bondi e Cicchitto insieme alla maggioranza del partito, irritati dalla vena giustizialista che alcuni ex an hanno ormai scelto come strumento di lotta politica. E’ anche per questo – riferiscono da via dell’Umiltà – che Berlusconi avrebbe espresso solidarietà al coordinatore nazionale in una telefonata, spronandolo ad andare avanti nel suo compito.
Certo è che l’inchiesta sugli appalti per l’eolico in Sardegna rappresenta un’ennesima complicazione per la maggioranza che in questa fase è alle prese con fibrillazioni interne che non aiutano a tenere la barra dritta. Il "ghe pensi mi" del Cav. ora è atteso alla prova del nove.