Casini archivia la Dc e apre al Pdl ma non tutto nella sua strategia è chiaro
23 Maggio 2010
Pierferdinando Casini mette sotto naftalina lo scudo-crociato, lancia il "Partito della Nazione" e apre al Pdl sulle riforme. Ma nella strategia del leader centrista non tutto è chiaro, compreso il dialogo col Cav. e il modo in cui le prove tecniche di riavvicinamento potranno disporsi nel campo politico da qui ai prossimi sei-otto mesi. Se a Todi Casini propone un patto per l’Italia tra maggioranza e opposizione con due obiettivi – superare la crisi e varare le riforme – è a Roma che dovrà tradurre quell’annuncio in fatti concreti.
Anzi, in atti parlamentari. Perché è il Parlamento il banco di prova al quale la maggioranza chiama e attende i centristi, per verificare se la trama che si sta tessendo sarà a fibra forte o se si sfilaccerà al primo lavaggio, pure se con ammorbidente delicato. Certo, l’apertura di Casini su giustizia e federalismo fiscale è un segnale che il Cav. e i suoi hanno subito raccolto incoraggiando l’avvio di una serie di contatti per sondare il terreno. D’altro canto, il leader centrista pare essersi reso conto che il consenso cresce se si sta nell’area del centrodestra, non in quella di Di Pietro e Bersani, come del resto il turno elettorale delle regionali ha abbondantemente dimostrato.
Di qui il progressivo smarcamento centrista dalla linea oltranzista dell’opposizione, quella populista-giustizialista di Di Pietro e quella demagogica di Bersani. Ma non basta. A consigliare prudenza nelle file pidielline ci sono i precedenti del 2006 e il percorso che Casini ha intrapreso in questi due anni (dalla svolta del predellino in poi), in aperta antitesi a Berlusconi, al berlusconismo e al progetto del Pdl. Compresa l’ultima tattica delle alleanze a geometria variabile applicata al test elettorale di marzo. Abbastanza per andarci coi piedi di piombo.
Per due ragioni: evitare gli errori del passato e soprattutto scongiurare il rischio che un’accelerazione nei confronti di Casini, magari con un prossimo ingresso nella compagine di governo se e quando ci sarà il rimpasto, possa trasformarsi in un boomerang che inchiodi il Cav. ai desiderata e ai distinguo non più solo di Fini ma anche del nuovo-vecchio alleato. Non solo, c’è perfino chi nel Pdl ma pure nella Lega, vede in uno scenario del genere i prodromi di quel governo tecnico che viene considerato come il "definitivo depotenziamento" del Cav. e la "morte civile" delle riforme. E il fatto che Bossi ripeta da giorni "Io e Silvio" è un segnale chiaro, una sorta di avviso ai naviganti.
E’ per questo che la via più sicura non può che essere quella del Parlamento perché l’apertura e la disponibilità dei centristi si misurano sui fatti, giustizia e federalismo per cominciare, mozioni e proposte di legge comuni per proseguire, con impegni chiari di prospettiva costituzionale. Della serie: sottoscrivere insieme al Pdl alcuni elementi di riforma costituzionale sui quali impostare un lavoro comune che abbia il suo sbocco naturale in una convergenza piena in un arco temporale ragionevole. In sostanza, è il convincimento di molti esponenti del Pdl, se i centristi si smarcano dall’area dell’opposizione per guardare all’area della maggioranza in un momento in cui, vista la contigenza del momento con gli effetti della crisi economica internazionale che si fanno sentire anche in Europa serve stabilità e senso di responsabilità da parte di tutte le forze politiche, il passo successivo non può che essere fare proprie le ragioni della maggioranza e sposarne il patto elettorale da qui in poi.
Di certo, ciò che si aspetta Casini dal Cav. e che ha ribadito a Todi, ovvero un Berlusconi che va in tv a dire che siccome la "casa brucia" il patto con gli elettori non vale più e serve una chiamata a raccolta di tutti gli uomini di buona volontà per fronteggiare la crisi, non pare il presupposto ideale per intavolare una possibile convergenza. Anche perché, la crisi economica c’era anche prima e non si capisce come mai adesso il premier dovrebbe rivedere e ricalibrare quegli elementi fondamentali del programma di governo che gli elettori hanno scelto democraticamente col voto.
Semmai, fanno osservare dal Pdl, il percorso è un altro: sei-otto mesi di "rodaggio" sulle riforme – magari approvate con una maggioranza qualificata – sono considerati un tempo giusto per costruire una base politica ragionevole per preparare l’ingresso nella compagine di governo. Sul versante della manovra econonomica che domani dovrebbe approdare al Consiglio dei ministri, Casini è disponibile "ad aiutare, se è una cosa seria", ma intanto pone le sue condizioni: si lasci perdere la legge sulle intercettazioni, che ”è una censura inaccettabile” e che ”tutti vedono non come tutela della privacy ma del malaffare”.
Quanto a un ipotetico ingresso a Palazzo Chigi dice che sarebbe una cosa immorale accomodarsi alla sua tavola dopo aver avuto un mandato elettorale in opposizione a Silvio Berlusconi. Ma è il premier a ricordargli che seppure l’alveo naturale per un partito che sta nel Ppe come il Pdl è il centrodestra, in politica come nella vita serve coerenza. Non esattamente quella dimostrata alle regionali, nonostante l’apertura del Cav. ai centristi. ”Per tutta risposta ci siamo trovati di fronte ancora una volta alla politica dei tre forni. L’Udc si è alleato con la sinistra in alcune regioni, con noi in altre, e si è presentata da sola in altre ancora. I risultati parlano chiaro: con noi in Campania, in Calabria e nel Lazio ha avuto buoni risultati e ha vinto. Dove si è schierata con la sinistra ha perso metà dei suoi elettori in Piemonte e un terzo in Liguria. A conti fatti, per Casini è stata una sconfitta".
Ragion per cui, il punto non è la lezione di moralismo, quanto una solida base politica sulla quale intavolare il dialogo. Berlusconi su questo è chiaro: se Casini vorrà rivedere la sua linea e stare alla larga da avventure quali "il patto repubblicano" di Bersani, potremo riparlarne.
Fin qui le prove tecniche di dialogo col Pdl. C’è poi il progetto politico che Casini sta mettendo in piedi sulle "ceneri" dell’Udc. Si chiamerà "Partito della Nazione" e a Todi ce n’è stato un assaggio. Un contenitore aperto a tutti i moderati – da Rutelli ai cattolici delusi da Pd e Pdl e perché no, pure a Fini se un giorno dovesse divorziare dal Cav. e Montezemolo se deciderà di darsi alla politica – che inauguri una nuova fase dal momento che – dice il leader centrista – "con le nostalgie non si costruisce il futuro. Io amo lo scudo crociato, ma dobbiamo essere consapevoli che non ci consente di misurarci con ‘ragazzi’ quarantenni che non hanno mai votato nella cosidetta prima Repubblica e non sanno cosa rappresenti".
E allora, via il nome del leader dal simbolo perché il "Partito della nazione" deve andare oltre le persone e resistere nel tempo. La nuova parola d’ordine è: largo ai giovani, all’etica, alla responsabilità, ai credenti e non credenti, ma soprattutto a pezzi di società ad "una fase che superi la politica degli spot".
In realtà, almeno per il momento quella di Casini appare un’operazione di restailing nel tentativo di consolidare il consenso aprendosi a una platea variegata di potenziali elettori, non solo e non più ex dc. Un’operazione oltrettutto messa in piedi pensando ad un Berlusconi ormai decotto. E se i simboli hanno un senso, vale la pena ricordare che qualche hanno fa proprio a Todi, Ferdinando Adornato ex Fi oggi ideologo dell’Udc teorizzava un partito unico a guida casiniana come transizione morbida dal berlusconismo.
Quella base e quella prospettiva ci sono anche nel progetto di oggi, ovvero un contenitore di sigle e provenienze messo lì nell’illusione che il crollo di Berlusconi sia ormai vicino e nella convinzione che è quello il canestro dove andare a raccogliere il consenso, dopo la fine del berlusconismo.
Anche per questo, meglio archiviare lo scudo-crociato (che gioco-forza restringe il terreno d’azione) e disegnare sulla bozza del nuovo simbolo tre piccole onde tricolore che – osservano i forzisti della prima ora non senza una punta di malizia – ricordano tanto i simboli berlusconiani. Da Forza Italia al Pdl.