Casini e Bersani corrono lo stesso rischio: tirare la volata a Vendola e Di Pietro

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Casini e Bersani corrono lo stesso rischio: tirare la volata a Vendola e Di Pietro

23 Maggio 2011

Nel clima impazzito di questa campagna elettorale ci sono tre paradossi, a sinistra come a destra. Primo paradosso: la spaccatura nel terzo polo tra chi vuole lavorare alla ricomposizione del fronte moderato e chi imbraccia l’arma dell’antiberlusconismo con la quale seppellire il Cav. e il centrodestra, magari sperimentando alleanze trasversali e futuriste con la sinistra. Secondo paradosso: il rischio comune per Casini e Bersani di portare acqua al mulino della sinistra vendoliana e del giustizialismo dipietrista. Terzo paradosso: nel centrodestra la tendenza allo scontro frontale già bocciata dagli elettori al primo turno, riproposta tale e quale nella settimana decisiva per i ballottaggi. L’ultimo esempio in ordine temporale? Il trasferimento al Nord di alcuni ministeri. Se l’idea può avere una sua logica, il modo in cui è stata portata avanti col botta e risposta tra Lega e Pdl ha messo in luce più divisioni che unità di intenti.

Terzo polo al bivio. La politica delle mani libere per Casini, Fini e Rutelli può rappresentare da un lato lo strumento col quale sperare di dare la spallata definitiva a Berlusconi e il berlusconismo, dall’altro però può mettere a repentaglio il già precario equilibrio all’interno del terzo polo dove si scontrano due visioni politiche contrapposte: quella di chi rifiuta la deriva dell’antiberlusconismo e lavora alla ricomposizione del fronte moderato (Urso e Ronchi in Fli, ma pure tra i centristi meno antiberlusconiani) mantenendo un dialogo col Pdl e quella di chi, invece, pur di eliminare dalla scena politica il Cav. sarebbe pronto a siglare una ‘santa alleanza’ con Vendola e Di Pietro.

Su questa contraddizione di fondo, il modello di Casini e Fini finisce per avvitarsi su se stesso ricalcando quei riti della vecchia politica che gli stessi leader terzopolisti dicono di voler archiviare definitivamente. In sostanza, la guerra sotterranea tra i centristi più navigati e quindi più cauti e l’ala dura dei finiani che giocano al tanto peggio tanto meglio, alla fine potrebbe minare la credibilità dell’Udc che a da questa tornata elettorale esce con un bacino di consensi consolidato (non è così per Fli). Perfino Montezemolo ammonisce Casini sottolineando che la scelta delle mani libere potrebbe condannare il terzo polo “all’irrilevanza politica”. Lui incassa e rilancia osservando che sarebbe stato più utile se Montezemolo, ad un passo dalla discesa in campo, avesse dato indicazioni precise su chi sostenere a Milano e Napoli. Insomma, Pier rimprovera a Luca quello che Luca rimprovera a Pier.    

Fil rouge tra Casini e Bersani. Sulla carta due leader ‘distanti e distinti’ (per usare lo slogan delle mani libere coniato da Bocchino), in realtà sulla stessa barca per il rischio che corrono: portare acqua al mulino di Vendola e Di Pietro. Il Pd per convenienza politica, dal momento che a Napoli il partito di Bersani è uscito dal primo turno con le ossa rotte e adesso è costretto a ‘ripiegare’ sul nuovo Masaniello giustizialista. Il leader Pd, dunque, sceglie di fare buon viso a cattiva sorte e puntare le fiches sull’ex pm che ha giocato la campagna elettorale sulla demolizione politica della classe dirigente democrat che per decenni ha amministrato Napoli. E questo anche a costo di spendere i voti dei riformisti a vantaggio di chi ai riformisti vuole togliere la leadership. Ora e nel 2013. E se perfino il riformista Umberto Ranieri descrive De Magistris come “colui che ha intercettato il profondo sentimento di malessere e insoddisfazione, la crisi civile che ha investito Napoli", (ma a Palazzo San Giacomo non c’era la Iervolino?) vuol dire che il primo partito dell’opposizione ha perso la bussola.

Il rischio che corre Casini è diverso ma la sostanza non cambia. La libertà di voto è un modo per non impegnarsi in una competizione dalla quale il Pdl o il Pd potrebbero uscire malconci e nella quale l’Udc non ha alcun interesse a entrare direttamente. Meglio giocarsi l’esito dei ballottaggi in chiave 2013, è il ragionamento che a mezza bocca fanno alcuni esponenti centristi. Ma la linea di Casini potrebbe disorientare ulteriormente l’elettorato moderato che di fronte alla scelta tra il Pdl con cui le affinità politiche sono evidenti e i radicalismi che stanno dietro a De Magistris e Pisapia, mal sopporterebbe di restare alla finestra a guardare, a maggior ragione se in gioco c’è il futuro di due città strategiche per il Nord e per il Sud. Non solo: la politica della mani libere potrebbe avvantaggiare l’avanzata di quel radicalismo di sinistra con cui Casini dice di non voler avere niente a che fare. Oggi per i ballottaggi, domani per le politiche.   

Le tensioni nel Pdl. La sortita di Bossi sul trasferimento al Nord di alcuni ministeri (la ‘sorpresa’ annunciata da Calderoli come la chiave di volta per la sfida a Milano), lo stop del Pdl con la nota congiunta di Gasparri e Cicchitto, l’ira di Alemanno, Polverini e Formigoni contro i leghisti, la frenata del Cav., l’impuntatura dei colonnelli padani. In sintesi, la sequenza delle ultime quarantottore di fibrillazioni nella maggioranza. Qui il paradosso è un altro: se la proposta può avere una sua ratio, il modo con cui è stata gestita e comunicata rischia di provocare l’effetto contrario dando l’immagine di una coalizione che si divide su ciò che ha appena annunciato o quanto meno non riesce a mettersi d’accordo prima.

A questo si aggiunge il clima incandescente di una campagna elettorale giocata da entrambi gli schieramenti sullo scontro frontale, ma che nel centrodestra  ha già dimostrato di non attrarre l’elettorato moderato. Vale per i candidati a sindaco, vale per i big nazionali. Se ieri Bersani in un comizio non ha trovato niente di meglio da fare che arringare la platea dicendo “se dico Berlusconi voi che dite?”; “Bunga, bunga” , la risposta dei militanti; il Cav. punta di nuovo sulla linea dura mettendo un guardia gli elettori moderati dai rischi di una sinistra che trasformerebbe Milano in una “zingaropoli” o in una “città islamica”. Eppure al primo turno i milanesi hanno lanciato un segnale chiaro al centrodestra: meno temi nazionali, più confronto sui programmi, meno ideologia più proposte concrete.

Forse, quel cambio di passo che i vertici del Pdl hanno riconosciuto come necessario, andrebbe giocato sul versante del pragmatismo che sta nel dna di Berlusconi e del berlusconismo, quello che Giuliano Ferrara invoca come chiave di volta per “disintegrare ogni forma di conformismo” ed evitare la vittoria “dell’avversario di tutti questi anni e di quello più incarognito e miserabile”. Il count down è iniziato ma c’è ancora tempo per ribaltare il tavolo e zittire le Cassandre che già preparano il “funerale” del berlusconismo senza fare i conti con Berlusconi.