Casini e Fini sono i veri sconfitti. Ora tocca al Pdl battere un colpo
10 Maggio 2012
I veri sconfitti di questa tornata elettorale sono Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini. Perché la loro non è una sconfitta numerica, ma politica. Nei piani di ‘Pierfurby’, come lo chiama scherzosamente Dagospia, sin dal 2006 c’era infatti la scomposizione del bipolarismo, ma mentre a sinistra per genetica capacità frazionistica vi si era addivenuti già nel 2008 con la fine dell’Unione di Prodi, a destra, invece, era necessario far cadere Berlusconi e sciogliere l’alleanza con la Lega che aveva consentito al Cav. due successi elettorali.
La scissione di Fini, culminata con la mozione di sfiducia (firmata e votata da entrambi i dioscuri del Cav.) nella famosa giornata del 14 Dicembre 2010, doveva inverare la prima condizione, ma la tenacia di Berlusconi non consentì il raggiungimento del risultato.
Il resto è noto: Berlusconi a resistere con i responsabili e la crisi economica in soccorso dei due dioscuri del centro-destra, in grado di coronare il loro logoramento con un nuovo ‘blitz’ su un altro manipolo di deputati pidiellini: Gabriella Carlucci, Giustina Destro e le quinte colonne malpanciste. Ricordate il foglietto di Berlusconi? Traditori, ribaltone, voto, prendo atto (dimissioni), presidente della Repubblica, una soluzione. Non gli restò che prendere atto; le prime tre voci, infatti, erano già state bruciate l’anno prima, all’indomani del 14 Dicembre.
Il primo punto del piano Casini-Fini era così andato in porto. Il governo Monti portò in dote anche la fine della coalizione Pdl-Lega, con i voti del Pdl finalmente a disposizione: il tremolante partito non più carismatico e leaderistico decapitato del suo leader e ingabbiato nel grigiore di Monti e dei suoi tecnici, pronto a cadere come una pera matura. Prenderne i voti e conquistare la centralità politica che fu di Berlusconi sembrava un gioco da ragazzi, e per chiudere definitivamente il cerchio (non magico, ma politico), occorreva la riforma elettorale, l’ultimo passo verso il ritorno alla Prima Repubblica.
Tuttavia, questo prima tornata elettorale dopo la caduta di Berlusconi è un risveglio amaro per i due figli della discesa in campo del Cav. Gli elettori di Berlusconi non sono andati a votare o hanno scelto altro. Magari Grillo, ma non i due delfini. Tutto il lavoro (sporco) di questi anni si è rivelato inutile, anzi dannoso. Inutile perché la proposta o l’offerta politica di Casini e Fini semplicemente non esiste, rivolta com’è a proporre lo schema della Prima Repubblica dove la governabilità era garantita dall’impossibilità dell’alternanza, e dall’esclusione dall’arco costituzionale della destra del Msi.
Nel 2013 i dioscuri del Cav. avrebbero voluto il ripetersi di quello schema: taglio delle ali, impossibilità dell’alternanza e centralità politica centrista ingrossata dalla svuotamento del Pdl, magari con una parte del Pd in maggioranza dopo l’ennesima scissione. Il test elettorale di ieri, seppur parziale e amministrativo, ha detto chiaro e tondo che gli italiani verso questa direzione non vogliono andare. Astenendosi o premiando Grillo, hanno evidenziato un aspetto essenziale per il futuro della politica italiana: hanno attribuito un voto non all’anti-politica – come qualcuno stupidamente continua a definirla – bensì hanno solo individuato un contenitore per la loro voglia di alternanza, o addirittura non si sono espressi. Gli italiani hanno metabolizzato e si sono appropriati del bipolarismo. In questo senso, hanno cercato l’altro che non c’è e non il Casini terzopolista con la ruota di scorta di Fini.
Oltre alla beffa, per il Terzo Polo, c’è anche il danno. Il Pdl – che aveva sì concluso l’accordo sulla legge elettorale in senso proporzionale – considera oramai la bozza d’intesa come la sua tomba definitiva. Lo stesso Pd avrà compreso che una legge proporzionale porta dritti all’ingovernabilità greca e, nella migliore delle ipotesi, verso una nuova stagione di unità nazionale.
Casini ha sempre spiegato che, con l’avvento di Monti, il quadro politico era definitivamente cambiato. Tuttavia, mantenendo la vecchia strategia ha dimostrato che il primo a non averlo compreso è proprio lui. Il problema di Casini è l’assenza di un’altra strategia: non ce l’ha, né la può avere.
Per Fini è ancora peggio. Il voto di ieri ha decretato la fine della sua carriera politica, perché mentre Casini potrà eventualmente riaccordarsi con il Pdl, al presidente della Camera questa opzione è negata. Per la stragrande maggioranza degli elettori del Pdl, lo strappo è considerato alla stregua di un insensato voltafaccia, o peggio ancora come un tradimento.
E allora? Tutto dipenderà dal Pdl che, seppur sconfitto, ha pagato più per la forte astensione che per un vero travaso di voti. Grillo è temibile per tutti, ma esclusivamente perché cerca di fare politica. Gli altri sono fermi. Il rilancio del centro-destra passa attraverso la riconquista dell’agenda della politica con due o tre idee forti che lo portino fuori dalle secche in cui si trova oggi: una di tipo istituzionale, si veda alla voce presidenzialismo, (alla francese diverrebbe seducente anche per il Bersani in versione Hollande); le altre due economiche (vendita dei beni dello Stato per una consistente riduzione del debito e conseguente drastica riduzione della pressione fiscale). E Casini? Non servirà più inseguirlo, seguirà.