Casini svela il doppio gioco: offre la tregua al Cav. ma voterà la sfiducia
23 Novembre 2010
Tutto e il suo contrario in ventiquattrore. La domenica Casini offre al Cav. l’armistizio, il lunedì dice che firmerà la tregua ma solo dopo aver sfiduciato il governo alla Camera. Difficile comprendere come si possano conciliare due richieste sostanzialmente inconciliabili. Difficile pure interpretare il pensiero centrista che suona così: non votiamo la fiducia ma non neghiamo il sostegno in Parlamento ai provvedimenti della maggioranza quando siano finalizzati a risolvere i problemi del paese. Politichese puro o doppio gioco?
Fatto sta che al termine di un’altra giornata carica di tensione coi finiani ad aprire nuovi fronti di polemica, il leader Udc corregge quello che ventiquattrore prima era sembrato un segnale di disponibilità per l’ingresso in maggioranza seppure inserito in uno spazio di manovra molto stretto. Casini sceglie il tg di Mentana per annunciare che l’offerta politica al Cav. resta valida, comunque sia i centristi voteranno la sfiducia il 14 dicembre. Nessun chiarimento su quale mozione, forse quella di Bersani e Di Pietro o un documento autonomo? Chissà che oggi il leader Udc non decida di chiarire il dilemma, a questo punto non secondario.
Se sulla sincerità della ‘mossa’ centrista in pochi erano pronti a scommettere, sia sul versante Pdl che su quello Pd, oggi le quotazioni dell’offerta politica sono nettamente al ribasso perché non si capisce come si possa proporre una tregua per il bene del Paese se l’obiettivo è rompere col governo col quale si vorrebbe trattare. Strane filosofie terzo poliste. Come strana è la parabola dei paladini del grande centro, i novelli Lancillotto accorsi al capezzale di un Paese moribondo per salvarlo dal ‘male assoluto’.
Prima fuoco e fiamme contro Berlusconi-Belzebù, poi freno a mano e ripiegata attendista. Se si mettono in fila i fatti degli ultimi giorni, appare chiaro come Casini, Fini, Rutelli e Montezemolo abbiano deposto il vessillo con la scritta “Comitato di liberazione nazionale” prima ancora di sfoderare le “armi” (politiche). Tutti si sono rimessi alla finestra, in attesa di tempi più propizi, consapevoli che quel progetto sbandierato sui media nella lotta dura e senza paura al Cav. per ora è meglio rimetterlo nel cassetto, magari rinviandolo al 2013. A rialzare la posta ci pensano pure i finiani che forse a corto di “cartucce” ora sfidano Berlusconi persino sul copyright del simbolo Pdl.
Ma cosa è cambiato? Molto, e tutto nel breve spazio di due settimane. E’ cambiato lo scacchiere politico: Berlusconi e Bossi intransigenti nel ricorso al voto in caso di sfiducia alla Camera; i segnali dal Colle per nulla propenso a ‘benedire’ un governo alternativo senza Pdl e Lega; i timori terzo polisti del redde rationem elettorale; le fibrillazioni tra i parlamentari futuristi ma anche tra i moderati che stanno al centro poco convinti di assumersi in prima persona la responsabilità politica di staccare la spina all’esecutivo (e di conseguenza al loro seggio).
Fini e Casini avevano chiesto la testa del premier come condizione per aprire una fase nuova, entrambi erano pronti a marciare uniti nella consapevolezza che la mozione di sfiducia avrebbe rappresentato la svolta. Invece, ad oggi, c’è solo il documento di Bersani e Di Pietro e non sarà facile per Casini accodarsi e basta. Per l’ex presidente della Camera e quello attuale, dunque, un segnale di debolezza nell’ultimo assalto tentato al fortino del Cav.
Domenica Casini ha cambiato gioco con la proposta del governo d’armistizio. Poche ore dopo da Fazio sulla poltrona di ‘Che tempo che fa’ Luca Cordero di Montezemolo ha declinato l’invito a scendere in campo e mettersi alla testa oppure al fianco di terzi poli. Almeno per ora. E Rutelli? Ieri da Trieste ha dichiarato così: “Governo tecnico? Per ora c’è un governo politico, un governo che ha vinto le elezioni. Vediamo se manterrà la sua maggioranza e poi si tireranno le somme”. Chiara la frenata del leader Api che non ha potuto non commentare la mossa casiniana e, non potendo sostenere il contrario di quanto dichiarato finora, si è limitato ad osservare che il capo dei centristi “non ha cambiato idea” e che “ha fatto bene a mettere alla prova Berlusconi”.
E Fini? Cinque giorni fa ha spiazzato i suoi luogotenenti già con la polvere dentro il cannone, rivolgendo a Berlusconi e a se stesso un appello alla responsabilità, dicendo in sostanza che il governo votato dagli italiani deve governare mantenendo fede alle cose da fare. Toni bassi e profilo dialogante è l’ultima versione del capo di Fli. Che ieri, però, ha lasciato campo libero al ‘falco’ Bocchino, forse per non dare troppo l’impressione della ritirata. E il capogruppo dei futuristi ha attaccato a testa bassa: prima declinando le ‘nuove’ condizioni al premier, poi sollevando l’ennesima polemica per alimentare la tensione, sul copyright del simbolo Pdl.
Nel primo caso al tavolo del confronto con la maggioranza dovranno esserci tre questioni: legge elettorale, fisco e un provvedimento economico importante. Altrimenti, niente fiducia alla Camera il 14 dicembre. Domanda: ma i finiani non avevano già annunciato che non la votavano e che avrebbero presentato una loro mozione di sfiducia o in alternativa avrebbero sostenuto quella di Udc e Api? Nel secondo caso, Bocchino ammonisce: se si andrà a elezioni Berlusconi “non potrà utilizzare nome e simbolo del Pdl perché sono in comproprietà con Fini”. Domanda: ma se fino a l’altroieri il capo di Fli ha ripetuto che le elezioni sono un male per il Paese, che bisogno c’è di concentrare l’attenzione (e gli avvertimenti) su marchi e brevetti?
Non a caso Gaetano Quagliariello replica ironico ai futuristi citando Marx: “I simboli sono una sovrastruttura, importanti nella società della comunicazione, ma sempre una sovrastruttura. Bocchino farebbe bene ad occuparsi della struttura”. Sandro Bondi bolla l’uscita del braccio destro di Fini come "misere provocazioni da condominio" e Rotondi ricordando la lunga querelle per il simbolo della Balena Bianca chiosa: “Noi con la Dc abbiamo fatto tante cause sul simbolo. Ma la differenza è che allora era il simbolo a portare i voti, qui li prende Berlusconi”.
Come a dire: marchi e brevetti contano, ma mai quanto i voti che ancora il Cav. è in grado di prendere, nonostante Fini, Casini, Rutelli e il terzo polo che verrà (se verrà). Ps: e Bersani? Sfumato il ribaltone e la grande ammucchiata, abbandonato in corsa dal capo Udc e prima di lui da quello di Fli, ora rischia di restare l’unico leader col cerino in mano: Nichi Vendola.