Cassazione: “Chi discredita l’azienda rischia il posto”

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Cassazione: “Chi discredita l’azienda rischia il posto”

17 Settembre 2007

Il lavoratore che
discredita l’azienda parlando male dei servizi offerti e della professionalità
dei colleghi rischia di perdere il posto. È quanto è stato approvato oggi da
una sentenza della Corte di cassazione.

La Corte è giunta a questa decisione con la sentenza numero
19232 del 14 settembre, accogliendo così il  ricorso di una struttura sanitaria che aveva
licenziato un’infermiera perché, tra l’altro, aveva “proferito espressioni
offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale, ed in
particolare nei confronti della caposala del reparto di sterilizzazione e nei
confronti della caposala del day hospital”. Ma c’è di più. La donna, infatti,
una volta allontanata aveva cercato contatti con gli altri dipendenti al fine
di “diffondere notizie e valutazioni offensive nei confronti della società”.

Il tribunale di Monza, a cui la donna si era rivolta per
riavere il posto di lavoro, le aveva dato ragione, riuscendo a farle annullare
il licenziamento e farle ottenere un risarcimento danni. Anche la Corte
d’appello di Milano aveva ridotto la misura del danno e confermato la
reintegrazione nel posto di lavoro. Così l’azienda sanitaria ha fatto ricorso
in Cassazione e lo ha vinto.

 I giudici della
sessione lavoro lo hanno accolto rinviando la causa alla Corte territoriale di
Brescia, invitando il nuovo collegio a riconsiderare il caso: va accertato se
tutti i comportamenti e le maldicenze della donna hanno compromesso il rapporto
di fiducia e discreditato all’esterno l’immagine della struttura. Secondo la
sentenza della Cassazione “in tema di licenziamento per giusta causa o
giustificato motivo, allorquando siano contestati al dipendente diversi
episodi, il giudice di merito non deve valutarli separatamente, bensì
globalmente, al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da
minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente”. E
addirittura non è finito qui. Infatti, “nè il giudicante (la Corte d’appello,
ndr) ha dato ragione alcuna della ritenuta assenza di danno che la divulgazione
(anche nei confronti dello stesso personale dell’azienda, nonché per la
diffusiva potenzialità verso l’esterno) della notizia (presenza di medicinali
ed attrezzature e supporti medici scaduti) assumeva per l’immagine di una
struttura ospedaliera”.