C’è ancora molto da fare per arrivare a un buon federalismo fiscale

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C’è ancora molto da fare per arrivare a un buon federalismo fiscale

07 Aprile 2009

La prima versione del federalismo fiscale targato Calderoli prevedeva che alle Regioni, oltre all’intero gettito Irap (almeno fino alla sua sostituzione), andasse anche un’aliquota riservata dell’Irpef. Per strada, a seguito degli emendamenti approvati, l’aliquota Irpef riservata si è persa (insieme con la previsione della cedolare secca sugli affitti).

Al posto dell’aliquota riservata alla “spagnola”, le Regioni, per finanziare le loro funzioni essenziali, potranno dunque contare sull’Irap (finchè ci sarà) e sulle compartecipazioni (in via prioritaria all’Iva, ma probabilmente anche all’Irpef). Potranno inoltre utilizzare il gettito dell’addizionale Irpef e i fondi perequativi.

L’elemento principale della riforma resta comunque la possibilità di parametrare il prelievo da parte degli enti locali al costo standard dei servizi fondamentali e non più invece alle erogazioni storiche, che tanti sprechi hanno fino ad oggi prodotto.

Oggi, infatti, i trasferimenti statali alle Regioni per finanziare le funzioni essenziali (vedi, in particolare, sanità, istruzione ed assistenza) avvengono sulla base della spesa storica e con criteri incrementali.

Con il federalismo fiscale, invece, i trasferimenti statali saranno cancellati e al loro posto le Regioni potranno applicare tributi propri e godranno di compartecipazioni con cui appunto finanziare tali funzioni ed assicurare (tramite un cosiddetto patto di convergenza) i livelli essenziali delle prestazioni a costi standard, intesi come i costi efficienti a cui presta gli stessi servizi la Regione più virtuosa.

Per tutte le altre, per compensare le differenze, interverrà poi il fondo perequativo. La perequazione sarà quindi verticale, nel senso che l’attribuzione di risorse alle Regioni “povere” passerà attraverso lo Stato (e sarà dunque a carico della fiscalità generale): una sorta quindi di camera di compensazione.

Gli effetti concreti della riforma dipenderanno proprio da come e se si riuscirà a dare attuazione al passaggio dal principio del costo storico a quello del costo standard, considerato che questo è il solo modo di consentire ad un sistema federalista di allinearsi alle prestazioni delle Regioni e degli enti locali più efficienti e da come tale principio verrà poi coordinato con quello della perequazione verticale.

Sul fronte degli enti locali, invece, oltre che dei tributi propri individuati dalla legge statale e delle cosiddette tasse di scopo, che i singoli sindaci potranno decidere di istituire, essi potranno avvalersi dell’imposizione immobiliare (restando comunque il divieto di reintrodurre l’Ici sulla prima casa) e della compartecipazione, sia all’Irpef che all’Iva, da quantificare in funzione del contributo dato dagli stessi enti locali in termini di contrasto all’evasione fiscale.

Proprio l’alleanza contro l’evasione fiscale anticipa, di fatto, il federalismo fiscale. Con la manovra d’estate si è infatti previsto che, con cadenza semestrale, il Dipartimento delle Finanze comunichi agli enti locali l’elenco delle iscrizioni a ruolo delle somme derivanti da accertamenti ai quali i municipi abbiano contribuito. Agli stessi spetta infatti una compartecipazione al 30% degli importi incassati (nel calcolo, inoltre, dovrebbero essere compresi non solo gli importi dovuti a titolo di imposta , ma anche le sanzioni e gli interessi).

Dal federalismo potrebbe dunque emergere una razionalizzazione della spesa pubblica e (nella migliore delle ipotesi) una riduzione degli sprechi (fino a circa 74 miliardi di Euro). Ma il pericolo da evitare è una moltiplicazione dei centri di potere. In tal caso, infatti, vi potrebbero essere invece costi aggiuntivi per decine di miliardi di Euro.

Restano comunque ancora molti ostacoli sulla realizzazione di un effettivo ed efficace federalismo fiscale. Basti pensare infatti che, oltre al fatto che manca ancora il definitivo assetto degli stessi enti locali e la realizzazione del Senato delle Regioni, soprattutto non si conosce ancora con esattezza la situazione finanziaria degli enti locali (compresa quella dei derivati) e quindi il loro concreto fabbisogno. Con il federalismo fiscale, inoltre, resta il problema delle Province che, oggi, costano circa 17,5 miliardi di Euro l’anno e che domani, proprio con tale riforma, potrebbero costare quasi il doppio: 27 miliardi di Euro. La riforma, comunque, non è certo alle porte.

Approvata la legge (potrebbe essere approvata in via definitiva già tra aprile e maggio), verranno poi approvati (entro un paio di anni) i decreti attuativi, da sottoporre al vaglio di una commissione parlamentare bicamerale. Sarà solo con i decreti delegati che verrà stabilito in dettaglio quali fonti di gettito avranno a di posposizione i vari soggetti. Infine vi sarà un periodo di transizione di cinque anni.