C’è chi punta sul biotestamento per segnare il fine vita della maggioranza
17 Novembre 2009
Che la legge sul testamento biologico fosse destinata a far discutere lo sapevamo da tempo. Anche perché dallo scranno più alto di Montecitorio vi è chi l’ha caricata di fortissimi connotati ideologici, oltreché politici, che travalicano le logiche di schieramento. Il biotestamento rischia di diventare, così, non senza una sproporzione tra le differenti posizioni in campo, la cartina di tornasole della compattezza di maggioranza e opposizione, il punto di volta su cui misurare la forza delle “correnti” interne ai due maggiori partiti italiani.
Il redde rationem è cominciato nei giorni scorsi, quando una quarantina di parlamentari del Pdl di fede finiana, ma non solo, hanno sottoscritto una proposta di Benedetto della Vedova, parlamentare radicale del Popolo delle libertà, che scompaginerebbe tutto l’impianto legislativo della famosa legge Calabrò licenziata dal Senato. La proposta, che sarebbe interamente sostitutiva di quella approvata da Palazzo Madama, rilancia l’ipotesi di soft law. In che modo? “L’emendamento – dice della Vedova – riconosce il valore assoluto e non disponibile del consenso o del dissenso alle cure espresso dai pazienti capaci e demanda ogni scelta di cura per le persone che versano in uno stato di incapacità al rapporto tra i loro familiari, gli eventuali rappresentanti legali e i medici, tendendo conto delle volontà precedentemente espresse dagli interessati, nel rispetto dei principi del codice di deontologia medica, delle norme civili e penali e del dettato costituzionale”. In sostanza – spiega l’ex radicale – di dice “no all’eutanasia, no all’accanimento terapeutico e si lascia la definizione della materia caso per caso”.
Di fatto, l’emendamento della Vedova abolisce le Dat, le dichiarazioni anticipate di trattamento che dovrebbero contenere le volontà di un paziente per il suo fine vita, previste dalla legge del Senato, lasciando che a decidere della vita di chi si trova in condizione di incoscienza siano familiari e medici, secondo una logica del caso per caso. Stando così le cose, si potrebbe verificare né più e né meno di quanto è accaduto con Eluana Englaro, il caso in cui a decidere della volontà ex post di un paziente in stato vegetativo, qualora insorgessero controversie tra fiduciario e familiari, sarebbero i tribunali. Insomma, un ibrido legislativo che – viene il sospetto – sia stato architettato solo per alzare la posta politica su questo tema, per creare all’interno della maggioranza i sempre più soliti distinguo. Non a caso di quei quaranta parlamentari che avrebbero sottoscritto l’emendamento della Vedova molti avrebbero già ritirato la firma.
In ogni caso, che il percorso legislativo che porta alla definizione delle questioni del fine vita sia tortuoso è fuor di dubbio: sono oltre 2600 gli emendamenti al testo sul biotestamento presentati in commissione Affari Sociali alla Camera: 2400 dei Radicali, 103 del Pd, 57 dell’Idv e cinque dell’Udc con Rocco Buttiglione come primo firmatario. Ma ipotesi correttive arrivano anche dal Pdl: in particolare, cinque raccolgono ‘le proposte migliorative” del presidente dei deputati Fabrizio Cicchitto, del relatore Domenico Di Virgilio e del capogruppo in commissione Lucio Barani.
Secondo il relatore di maggioranza, il testo del Senato è perfettibile. E per questo il numero di emendamenti all’esame della Commissione non potrà che migliorare l’impianto di fondo del ddl Calabrò. Molti emendamenti “prevedono un ruolo dei familiari –afferma Di Virgilio – misure concrete di supporto ai pazienti in stato vegetativo e alle loro famiglie, nonché la possibilità della sospensione di alimentazione e idratazione (che comunque non costituendo terapie non possono far parte della dichiarazione anticipata di trattamento) soltanto nel caso in cui queste non risultino efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari". Ma non solo. Le proposte di Di Virgilio puntano anche a "estendere la normativa a tutti i casi in cui si riscontrino dal medico curante una incapacità di comprendere le informazioni e non solo nello stato vegetativo. Infine, in caso di controversia tra fiduciario e medico curante, e quindi quando l’alleanza terapeutica non sussiste più, è previsto il ricorso ad un collegio dei medici il cui parere è vincolate per il medico curante il quale però non è tenuto a condividerle”. Aperture anche nei confronti del fronte più laico e battagliero del Pdl, che però sembra, almeno per ora, ben lontano dal dare segnali chiari di distensione.