C’è molto Obama nella crisi del bipolarismo americano
12 Febbraio 2016
Ogni tanto il presidente Obama scende dall’empireo ed è costretto a fare i conti con la realtà. E’ accaduto per esempio con le primarie in New Hampshire, modello di vecchio bipolarismo e test per la democrazia Usa che sta cambiando, vista la sorprendente affermazione di due ‘irregolari’ della politica americana come il miliardario Donald Trump e il socialdemocratico Bernie Sanders.
La politica negli Usa si è “ammalata”, ha commentato Obama, aggiungendo che in passato democratici e repubblicani non passavano il tempo solo a darsi “dell’idiota o del fascista”. In realtà è un malessere che non riguarda solo gli Stati Uniti. Le democrazie occidentali più o meno bipolari perdono colpi. E’ accaduto in Francia. Si è ripetuto in Spagna. Può succedere in Italia. Le Pen, Podemos, Grillo, Corbyn in Gran Bretagna e adesso Sanders e Trump in America.
Non sono più casi sporadici e bisogna capire se e quanto siamo davanti a un cambio di paradigma. Obama ha scelto un luogo simbolico per fare i conti con la sua storia personale e con quella del proprio Paese: le scale del Campidoglio dell’Illinois che ospitò il presidente Lincoln e da dove lo stesso Barack nel 2007 aveva lanciato la mitica parola d’ordine «Change».
Qualcosa da allora è cambiato e non certo nella direzione auspicata dal presidente. I cittadini hanno dimostrato una totale mancanza di fiducia verso la politica che intanto si polarizzava nella dispersione dei vecchi partiti e schieramenti. A questo, nel caso degli Usa, va aggiunta la caccia alle streghe scatenata dai liberal contro l’amministrazione Bush, un elemento che di solito si tende a rimuovere ma che spiega anche l’indebolimento di un pezzo della constituency repubblicana.
A voler approfondire, e prendendo in prestito dal politichese nostrano il termine “correnti”, è vero anche che i due grandi partiti americani, l’Elefantino e l’Asinello, hanno assistito spesso a sfide interne tra visioni contrapposte del mondo o al passaggio di meteore impazzite.
Qualcuno ha ricordato la competizione nel partito repubblicano tra un conservatore come Goldwater e il più elitario Rockefeller, o in quello democratico tra il centrista Bill Clinton e il progressista Howard Dean, oppure ancora la passeggera stella di Ross Perot. Fenomeni di disordine bipolare e sintomi che sempre si erano ricomposti in uno schema organico, nel gioco di responsabilità tra chi governa e chi sta all’opposizione. Ora si gioca al massacro.
Da questo punto di vista la vittoria del socialista Bill De Blasio a sindaco di New York dello scorso novembre ha segnato uno spartiacque nella bipolarità. De Blasio vince su una piattaforma antagonista riconducibile a movimenti come Occupy Wall Street, raccoglie la sfiducia e in certi casi l’odio verso la classe politica e la elite finanziaria che monta nel Paese. De Blasio ha aperto la strada a Sanders su scala nazionale.
La fotografia più impietosa la offre un editoriale di Edward Luce apparso sul Financial Times: il New Hampshire è “l’incubo peggiore per l’establishment”, il piccolo stato americano “ha ripudiato le elite d’America”. “I vincitori” delle primarie “sono un anziano socialista che fino a qualche mese fa aveva quasi zero notorietà e il più famoso conduttore di reality show” del Paese.
Per cui è giusto contestualizzare la sorpresa americana in quella che sta diventando una consuetudine europea, appunto lo scardinamento del sistema del bipolarismo classico. Ma c’è una cosa che riguarda particolarmente gli Stati Uniti e cioè l’atteggiamento assunto da Obama in quest’ultimo scorcio della sua carriera politica. Obama crede davvero di poter uscire di scena così, limitandosi a lanciare qualche strale contro il “Palazzo” dopo che ha governato la ex superpotenza globale per un decennio?
La verità è che il “change” ha solo prodotto una America più arrabbiata. Un Paese dove meno del 20% dell’elettorato si fida del governo. Una nazione nella quale il 60% della popolazione ritiene finito l’american dream, il sogno americano. L’era obamiana si lascia dietro come eredità la malattia del bipolarismo e la maschera deformante dei “nuovi populismi”. Ma il presidente fa finta di niente, la “malattia” americana non lo riguarda, scaricando quest’ultima patata bollente sulle spalle del suo misterioso successore.
[aggiornato 8 maggio 2016]