C’è qualcosa di scritto che unisce Ancona a Macerata

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

C’è qualcosa di scritto che unisce Ancona a Macerata

18 Gennaio 2009

Nel 1988 arriva a Macerata un filosofo brillante e già conosciuto nell’ambiente come uno fra i più dotati e acuti della sua generazione. A quel tempo Giorgio Agamben è ancora giovane, ha 46 anni, e giunge nella provincia marchigiana con un incarico di professore associato di Estetica. Sta già lavorando a Homo Sacer, la sua opera più importante. Ma era già famoso per avere curato le opere di Walter Benjamin (Einaudi) e aveva già dato alle stampe “Stanze, la parola e il fantasma nella cultura occidentale” e “Il linguaggio e la morte”  (entrambi per Einaudi).

Uno che negli anni Sessanta aveva avuto lunghe frequentazioni con Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini (ebbe anche una parte nel film Il Vangelo secondo Matteo). Personaggio complesso e suggestivo, insomma. Un fascino che a Macerata presto fa breccia negli studenti. E così alcuni di loro decidono, sotto l’ala del maestro, di dare vita a una rivista. Iniziativa che presto vira in direzione di una casa editrice. Siamo nel ’93. Inizia l’era di Quodlibet. Società cooperativa editrice che si occupa prevalentemente di filosofia (curando i testi specialistici in collaborazione con l’unversità). Testi dello stesso Agamben. Ma l’elenco sarebbe lunghissimo: Levi Strauss, Levinas, Spinoza, Husserl, Brentano…

Nel frattempo il gruppo si scioglie. Non tutti restano nella casa editrice. La direzione rimane a Gino Giometti e Stefano Verdicchio con i quali  Quodlibet si apre alla letteratura, alla critica d’arte, alla architettura, dando ampio spazio alla pubblicazione dei classici come Matteo Ricci. La casa editrice mantiene la storica sede di Santa Maria della Porta a Macerata, ma ne apre un’altra anche a Roma.
"Il qualsivoglia latino che abbiamo scelto per marchio non significa né indifferenza né neutralità. Chiarisce il criterio delle nostre scelte. I testi che cerchiamo devono reagire sull’attualità, gettarvi sopra una luce inattesa", ha avuto modo di dire Gino Giometti nel corso di una intervista.

Quodlibet ha al suo attivo un catalogo di oltre 400 titoli e tre collane principali: "Quodlibet’ "Quaderni Quodlibet" e "In ottavo".  Nella sezione del catalogo "Quodlibet Studio" sono pubblicate diverse collane tematiche che pubblicano prevalentemente ricerche inedite di studiosi italiani e no. Dal 2007 è attiva la collana "Verbarium" diretta da Michele Ranchetti, altro punto di riferimento della casa editrice.  Da segnalare, infine, l’ultima collana, “Compagnia extra”, una sorta di spazio autogestito in cui trovano posto i divertimenti letterari di Gianni Celati, Ugo Cornia, Paolo Nori.

Negli stessi anni, e a pochi chilometri di distanza, nel capoluogo, come per singolare e coincidente fioritura, cominciava l’avventura di PeQuod. Nata nel 1996, come collana de Il Lavoro Editoriale-Transeuropa. In questo primo periodo, pubblica appena tre titoli di narrativa, ma subito si fa conoscere e apprezzare con “Congedo ordinario” di Gilberto Severini. È nel 1998 che Marco Monina e Antonio Rizzo ne fanno una casa editrice autonoma, e aprono il nuovo corso con il testo d’esordio “Furibonde giornate senza atti d’amore” di Michele Monina.

Da allora è stata una storia fatta anche di successi editoriali (“La donna di scorta” di Diego de Silva). Anche se il primo vero successo commerciale giunge nell’autunno del 2001 con “Il mondo senza di me” di Marco Mancassola. Una produzione in costante crescita che ha incontrato spesso il favore della critica per la casa editrice di Vicolo del Solitario, ad Ancona. Saggistica, poesia e narrativa i tre filoni sui quali si muove, anche se si incontrano raffinate fermate in testi di fotografia e di arte.