“C’è stato un giorno della nostra vita in cui siamo stati il meglio di noi stessi”

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“C’è stato un giorno della nostra vita in cui siamo stati il meglio di noi stessi”

“C’è stato un giorno della nostra vita in cui siamo stati il meglio di noi stessi”

04 Aprile 2014

di Staff

Ieri Pupi Avati ha tenuto la Lettura Annuale di Fondazione Magna nel Teatro di Santa Chiara a Roma. C’eravamo anche noi, per raccontarla in pillole. Ed è stata insieme una storia di vita e di cinema.

17:33. Pupi Avati e il presidente di FMC, Gaetano Quagliariello, salgono sul palco. Quagliariello fa un "riassunto delle puntate precedenti", ricordando che il 2013 è stato l’anno del decennale di Magna Carta. "Abbiamo  chiuso tra le altre cose un lavoro di ricerca sulle istituzioni che verrà presentato nelle prossime settimane a Milano", mentre "gli archivi della Fondazione sono stati messi a posto". Un anno, insomma, in cui "la struttura della fondazione si è rafforzata". Che cosa ha rappresentato Magna Carta nel suo decennale? "Non abbiamo mai taciuto di essere una fondazione che si colloca nella parte della luna di centrodestra, all’inizio non era facile come oggi", in certa temperie culturale italiana. "A Magna Carta sono state dedicate molte pagine nella letteratura scientifica sui think tank", ma è sul lungo periodo che si comprende l’impronta lasciata dalla fondazione nel centrodestra e nel contesto politico del nostro Paese. 

17:41. "Siamo in un cambio di epoca, che deriva da fattori esterni come la grande crisi economica che ha profondamente modificato le strutture sociali, e da fattori interni, come la fine di una esperienza politica che ha coagulato intorno a sé tanto consenso ma che oggi si sta sciogliendo come neve al sole". Oggi è difficile "rintracciare la differenza tra destra e sinistra", e allora cosa resiste, che punti di riferimento ci sono? "Vanno cercati a un livello più profondo della politica di ogni giorno" ed ecco il ruolo delle fondazioni, "Capire il presente, la realtà, viverla, ma saper essere realisti, accettandola, affermando i nostri  principi, le nostre politiche e le soluzioni".

17:46. Il presidente ringrazia i giovani che animano la fondazione, ricorda come viene finanziata, il volontarismo, e sottolinea: "Sui giornali c’è sempre il sospetto che dietro le attività delle fondazioni ci sia qualcosa di losco, senza neppure avere la pazienza di andare a leggersi un bilancio su un sito". A questo "presappochismo" bisogna ribellarsi, cercando di svolgere nel miglior modo possibile le attività di autofinanziamento della politica. 

17:48. "Abbiamo pensato a lei", Quagliariello si rivolge a Pupi Avati, "perché con i suoi film, i suoi libri, i suoi romanzi, riesce a esprimere con semplicità un senso comune che deve ancora avere un suo diritto di cittadinanza. Mettendo al centro la riflessione sulla persona umana".

17:50. Pupi Avati inizia il suo intervento. "Per leggere bisogna scrivere". Protagonisti assoluti della sua storia saranno i tantissimi incontri accumulati durante la sua esperienza professionale lunga 40 anni di carriera. Parla dei "pubblici", per cominciare, di chi lo sta ascoltando, dei ginecologi con cui suonava jazz e dei "parrucchieri dell’Oreal" incontrati a Istanbul. Tanti pubblici diversi a cui trasmettere la propria idea della vita: "perché se non lo dico io alla mia età cos’è la vita chi lo può dire e quando?". 

17:55. "La creatività e gli archetipi", base della natura umana. Cosa sono gli archetipi? "Le cose, gli oggetti, le persone" che formano il nostro mondo. "Non una immagine assoluta ma la nostra immagine". "Se mi dicono frappé, io vengo risucchiato misterosiamente al 9 giugno del ’46 in Via di San Vitale a Bologna", sorta di immagine proustiana in cui Avati mescola la nascita di suo fratello, il parto della madre avvenuto a casa, sua zia che, appunto, gli fa assaggiare per la prima volta il frappé.  

18:01. Pupi Avati parla del valore dell’autobiografismo, del sapersi dire e raccontare. "Ero uno che stava sempre negli angoli, che non desiderava esserci, e che amava le ragazze belle". Ricorda il corteggiamento di una delle più belle ragazze bolognesi, che dura 4 anni. Un giorno lei accetta finalmente di essere accompagnata a casa, "sotto casa le dico: oggi è il mio compleanno, nessuno mi ha festeggiato, nessuno mi ha dato neppure un bacio" e lei lo bacia. Ma la storia del compleanno era solo una menzogna… Ebbene, la donna della storia è diventata sua moglie, 50 anni dopo "voglio risposarla".

18:05. "Bisogna che del matrimonio si parli sapendo cos’è, invece molto spesso lo si fa senza saperlo". E’ un flusso, Pupi Avati, di fatti e persone, "tutto ciò che è accaduto di orrendo e bellissimo nella nostra vita". "Ho il terrore che mia moglie se ne vada perché così sparirebbe il suo sguardo su di me". Dalla moglie alla madre, alla sua famiglia, "due ceppi diversi che si uniscono: mia madre da una famiglia socialista, matteottiana, mio padre da una borghese".      

18:08. La politica "deve imparare a guardare all’essere umano e ai suoi talenti". Valorizzare i talenti. Dalla vendita di pesce surgelato a presidente di Cinecittà con 40 film alle spalle, "la cosa che ho scopertoda solo è che in ognuno di noi, essendoci una identità, c’è un talento. Siamo portatori sani di una identità. Abbiamo delle peculiariatà, siamo unici, cristianamente parlando ognuno di noi è il prescelto. Abbiamo delle cose assolutamente uniche da dire e non possiamo andarcene senza aver lasciato detto una cosa di noi stessi". Invece tanti lo fanno, se ne vanno senza dire niente.

18:15. "Dobbiamo riconoscere la nostra vocazione, il nostro talento e farlo coincidere con la nostra professione". La memoria va agli Usa, allo Iowa, al Jazz, alla casa museo dei maestri jazzisti, a un negozio "Xerox lì vicino, dove facevano fotocopie, con una enorme macchina fotocopiatrice. C’era un ronzio seducente, rumore, ronzio e suono che ti ipnotizzava, entrando nel negozio. Ti aspettava un signore per fare le fotocopie, inseriva i fogli nella macchina, si vedeva che amava farlo e tutto aveva un che di sacrale…". Era un uomo totalmente realizzato. "Adoro le persone che amano ciò che fanno".

18:22. Pupi Avati ricorda il jazz, "più macilenti e stortignaccolo eri e  più piacevi alle donne". "Suonavo in una orchestra di ginecologi", si girava l’Europa. Arriva l’incontro-scontro con un "peloso" Lucio Dalla. "Dormivamo in camera insieme… tutto bene, tutto a posto, suonava così male che non avevo nessun timore di lui, finché un giorno ad un concerto parte con un assolo…". "E lì è incominciata la mia crisi più pazzesca: si stava manifestando un talento (Dalla, ndr), come gli Apostoli nel momento in cui arriva lo Spirito Santo, improvvisamente, ogni sera, con un clarinetto scassato, migliorava sempre di più". "Voi non sapete cos’è l’invidia! Lui snocciolava grappoli di note fantastiche… Lo odiavo".

18:30. Racconta la fine della sua esperienza di musicista, il periodo trascorso a lavorare come venditore di surgelati, il cinema visto e vissuto in modo matto e disperatissimo, l’aver capito che il grande schermo racconta "l’intimo delle persone". Nessuno che rispondeva alle proposte di lavoro e l’incoraggiamento ricevuto per lettera da Ennio Flaiano: "Non scrivetemi più".

18:32.La differenza tra passione e talento. La prima non basta. "Senza talento non si fa niente, si rimane molto professionali. A me se danno del regista professionale mi offendo". Il discorso più importante è "la cerca di se stessi", ciò che conta, la cosa che malgrado tutto, alla fine, ti permette di dire "sono io".

18:34. La vita "graficamente è una ellisse". Una navicella che parte dalla capacità di fantasticare dei bambini, diventando poi una sorta di "collina" che saliamo senza sapere cosa c’è dall’altra parte. Finché non si raggiunge il centro, e non si pensa più solo al futuro ma si inizia a guardare indietro. E’ lo "scollinamento", le polarità si invertono, "si guarda il percorso da fare ancora e che cosa si è fatto". Inizia il "rientro al casa", il capire e ricordare chi siamo. "C’è stato un minuto, durante un giorno della nostra vita, in cui siamo stati il meglio di noi stessi". Dopo inizia "il disapprendimento… tutto inizia ad essere più faticoso". Infine la vecchiaia: "dalla nostalgia della giovinezza si passa alla nostalgia della infanzia".

18:43. Il cinema. L’esordio di Paolo Villaggio, una cena con Tognazzi, Abatantuono pescato in un annuario del cinema dopo che si era aperto un night a Rimini. "Regalo di Natale gli ha cambiato la vita".  Katia Ricciarelli. Mariangela Melato, "non recitava, diceva la verità". L’ultimo Fellini, della "Voce della Luna", conosciuto a Roma negli ultimi anni della vita del regista. Il racconto del grande cinema italiano fatto da Pupi Avati è irresistibile, potrebbe andare avanti per ore. Un racconto fatto di incontri, coincidenze, destini. "A Tognazzi debbo due cose: di aver iniziato a lavorare, nel ’73, e il modo che lui mi ha insegnato di approcciarsi alla vita". Come? "Comunicarsi attraverso le debolezze reciproche".

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