C’è un disegno sinistro negli ‘al voto, al voto’ dei tacchini del centrodestra
26 Settembre 2011
Non capisco, per quanti sforzi faccia, dove nasca la tendenza alla dissoluzione da parte di autorevoli esponenti del Pdl. Si manifesta da settimane nella richiesta di affrettare la fine della legislatura, andando a votare nella prossima primavera, non si sa bene perché. Come se la inevitabile sconfitta liberasse i tacchini del centrodestra dall’angoscia di sopportare il peso di un anno e mezzo ancora di governo. Meglio, ritengono, farsi tirare il collo in anticipo.
E’ pur vero, e non gli fa onore, che invocano quale scusante del suicidio meticolosamente programmato, la probabile consultazione referendaria che spazzerebbe via l’attuale immonda legge (da loro stessi voluta) nel 2005. Ma non mi sembra davvero un buon motivo per affrontare il responso elettorale assolutamente impreparati dopo gli eventi, interni ed esterni, che hanno indebolito il centrodestra.
E allora? Allora mi balena, da maldestro qual sono, una sola spiegazione possibile. La seguente. C’è chi non vede l’ora di mettere le mani sulla coalizione berlusconiana, che diventerà inevitabilmente “post” dopo la fuoriuscita del Cavaliere, ed è disposto pure ad una lunga traversata nel deserto purché al posto di comando sia pure di un’armata di straccioni di Valmy. Non è poi detto, credo si ragioni dalla parte dei morituri, che non vengano fuori ipotesi di collaborazione con i vincitori, conseguenti ad operazioni trasformiste, da non disprezzare. I percorsi della politica politicante sono infiniti, come si sa. E come sanno bene tanti epigoni della vecchia Dc non sempre degni della sua gloria che proprio chi l’ha avversata, come il sottoscritto, non può fare a meno di riconoscere con onestà e senso di responsabilità.
Occorre ben altro al momento. E’ tempo che il governo e la maggioranza, piuttosto che gettare la spugna, trovino il modo di mettere in campo provvedimenti che reggano alla prova dell’aggressione mercatista e della crisi dell’euro che è poi la crisi politica ed economica dell’Europa. In più si attrezzino nel migliore dei modi per regolamentare tre o quattro settori su cui fondare un minimo accettabile di crescita. E infine stabiliscano con le opposizioni – a tutti i costi – un proficuo dialogo che sfoci in una accettabile legge elettorale che salvaguardi il bipolarismo, ma non lo cristallizzi come una perenne lotta tra “nemici”.
Ci vuole del tempo per tutto questo. E soprattutto è necessaria quella disponibilità d’animo che metta tutte le forze politiche nelle condizioni di affrontare la prossima campagna elettorale se non proprio con serenità, quanto meno in maniera non gladiatoria. Entrambi gli schieramenti dovrebbero avere tutto l’interesse a mettere in campo le squadre migliori, cosa che al momento non è possibile. Se davvero si dovesse andare a votare tra pochi mesi, immaginate in che contesto si svolgerebbe la competizione? Non volerebbero soltanto gli stracci, ma ben altri elementi verrebbero messi nel ventilatore per la maggior gioia degli speculatori che si fionderebbero sulla Penisola come avvoltoi e la deprederebbero di quel poco che ancora resiste ai loro assalti.
Non c’è ragione, dunque, per affrettare la fine della legislatura. Meglio un rimpasto o un altro governo, sempre a guida Pdl, naturalmente, piuttosto che il trauma di un salto nel buio che tale sarà anche per il centrosinistra se dovesse prevalere. In esso, infatti, non tutto sembra filare liscio. Non ha un candidato premier credibile, non sono state definite le alleanze, non c’è uno straccio di programma tra i possibili soggetti alleati (Pd, Sel e Idv), non è stato chiarito il rapporto con il terzo polo e neppure i moderati post-democristiani ed ex-margheritini hanno superato le loro perplessità in riferimento al “patto di Vasto” che imprudentemente il segretario Bersani sembra aver stretto con le forze più estremiste e giustizialiste, per non dire che un nuovo Ulivo, ricordando i disastri del vecchio, non dovrebbe entusiasmare l’elettorato dei democratici.
Nel centrodestra la speranza è che i mal di pancia vengano superati dalla politica. Anche se da quel che si vede è difficile nutrire fiducia. Eppure non c’è altro da fare.