C’è un Occidente migliore di Breivik (e che non crede nel “multiculti”)
26 Luglio 2011
Apri Foreign Policy, non il giornalino della parrocchia ma l’autorevole magazine americano fondato da Huntington, e leggi: "Anders Breivik può aver agito da solo ma ci sono certamente molti altri come lui che condividono le sue idee, la sua ideologia, per cui – senza un’azione drastica e immediata – la Civiltà Occidentale si perderà. Il mondo non può permettersi di ignorare questa minaccia crescente" (la minaccia di chi la pensa così, nda). Continui a leggere e scopri che la minaccia è la seguente: ritenere che "l’Occidente è sotto attacco", sotto il tiro incrociato dei multiculturalisti e di quei musulmani che vogliono distruggere il mondo cristiano e l’identità nazionale degli stati europei.
Non è che questo sia il tuo unico pensiero quotidiano, non è che la mattina ti alzi e la prima cosa che fai è caricare il tuo fucile da caccia per aprirti un varco nella medina eurabica; anzi, a dirla tutta credi che sul lungo periodo l’islam non sarà più una minaccia per il mondo occidentale o perlomeno non l’unica. Ma che attualmente la nostra civiltà sia stata colpita (più di una volta), che ormai sia disdicevole difendere le ragioni della storia occidentale nei consessi pubblici, e che l’imperialismo islamico vada combattuto (c’è una guerra in corso, è già accaduto altre volte), questo non si può evitare di pensarlo e allora cosa siamo? Tutti terroristi come Breivik?
Negli ultimi anni per fortuna hai capito un paio di cose. La prima l’11 Settembre, quando le persone con cui ti trovavi, persone che stimavi, brave persone, si sono messe a fischiare davanti allo spettacolo delle torri che cadevano nella polvere. Sono gli stessi che poi hanno commentato "gli americani se la sono cercata". Di colpo, ti si sono chiarite le idee e parecchi aspetti della realtà in cui vivevi hanno assunto una nuova faccia, che non ti è piaciuta. L’altra cosa che hai capito è che molto spesso chi difende e promuove il multiculturalismo lo fa perché soffre del complesso dello Zio Tom, cioè ha bisogno di cose come l’affirmative action, le quote razziali e le quote rosa se non altro per difendere i suoi privilegi, per strappare un compromesso alle minoranze e attenuare le loro rivendicazioni. Sono passati vent’anni e non ci vuole un genio per capire quali erano le false speranze di bei film come "Grand Canyon", quando si credeva ancora alle capacità taumaturgiche del multikulti.
Tornando all’articolo di FP ti accorgi che Geert Wilders, il controverso politico olandese che ha fatto della sua battaglia contro l’islam una ragione di vita, viene associato dopo molti (troppi) giri di parole alla fantasia malata di Breivik. In realtà è accaduto esattamente l’opposto: quelli come Breivik esistono e potrebbero diventare più numerosi perché le "nuove destre" europee si stanno lentamente spostando verso il centro dello spettro politico, espellendo i matti come Breivik e rodendo quote in quella fetta dell’elettorato indipendente, ma anche nel tradizionale mondo conservatore, liberale e socialdemocratico, sano di mente e stanco delle buone parole della classe dirigente.
Quando non hai più il tuo gruppetto di scalmanati dove scaricare frustrazioni e revancismi attraverso slogan esplosivi, quando resti solo, anzi quando ti resta solo il web, allora finisce che l’esplosivo vuoi procurartelo davvero. Solo questo basterebbe a ridimensionare il "pericolo" delle nuove destre. Negli Stati Uniti c’è un’associazione, tra quelle che compongono la galassia del Tea Party, che ha come obiettivo quello di tenere lontani dalle manifestazioni del movimento i "birther" (che chiedono il certificato di nascita di Obama), i neonazi e i suprematisti bianchi, e tutti gli altri fanatici cani sciolti dell’estremismo americano.
Una delle cose che lasciano stupiti e spingono a seguire ancora con attenzione il fenomeno Wilders nella sua evoluzione è che la gran parte del restante spettro politico in Nord Europa attualmente tende a farsi impartire lezioni di libertà, tolleranza e illuminismo dalle cosiddette "nuove destre". Per colpa del multiculturalismo e ignorando il significato e la gravità dell’11 Settembre si finisce per relativizzare anche tutto il resto, libertà di parola compresa, e così poi non sorprendiamoci se Wilders riporta tutti con i piedi per terra snocciolando gli elementari della civiltà occidentale. Si tratta di buonsenso, niente di patologico.
Il discorso di Wilders può essere efficacemente riassunto nella formula "il multiculturalismo è fallito". Wilders non va oltre questo, la pars destruens. Non ci dà ricette per il dopo (se non quella dell’immigrazione zero, da Natale ad Amsterdam solo i residenti potranno entrare nei coffee shop), non ci spiega che cosa ha intenzione di fare nella nuova epoca, che ovviamente non è la Rivoluzione Neo-Templare agognata da Breivik ma solo un mondo diverso da quello che conosciamo.
Chi non disdegna altezzosamente le parole di Wilders dovrebbe fare allora un passo più lungo del chiomato leader olandese, offrire una pars costruens, provare a pensare come sarà l’Europa dopo la fine del multiculturalismo e che tipo di società è uscita dalla globalizzazione. In fondo definire Wilders di "estrema destra" è sbagliato. Il caso di Thilo Sarrazine in Germania lo ha dimostrato chiaramente ed anche con un certo clamore. Il multiculturalismo è entrato in crisi già da prima che un pazzo furioso vestito da sub si mettesse a sparare contro gente innocente e molto prima che se ne accorgessero Cameron, la Merkel e Sarkozy. Ma non si capisce ancora cosa dobbiamo aspettarci adesso ed è in questa incertezza che prosperano i tipi disturbati come Anders Breivik.