C’era un volta la sinistra e c’è ancora

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C’era un volta la sinistra e c’è ancora

18 Giugno 2007

Francamente ci si sorprende della sorpresa. Sulle pubblicazioni delle intercettazioni per l’affare Unipol/BNL, che coinvolgono alcuni esponenti dei Democratici di Sinistra, si stanno dando giudizi bizzarri e addirittura candidamente infantili, che non possono essere totalmente giustificati dalla sudditanza, perlomeno culturale, che la maggioranza dell’opinione pubblica ha verso – come si diceva una volta – il maggior partito della sinistra.

Che ci sia stata per decenni e ci sia tutt’ora quantomeno un’interfaccia preferenziale tra PCI/PDS e DS e il mondo della cooperazione, che ha garantito per anni sostenibilità all’azione politica, soprattutto quando i finanziamenti irregolari “grondanti di sangue” provenienti dall’est europeo forzatamente terminarono, non pare francamente una novità. E’ forse cambiato il rapporto di forza: negli anni ’70 e ’80 infatti, il rapporto tra Partito Comunista e Lega delle Cooperative era organico. Il dirigente delle cooperazioni era scelto dal Partito e su ordine del Partito costruiva un sistema locale egemonico sia nell’economia che nel sociale. Oggi sono i dirigenti di partito che prendono briefing dal management della cooperazione che a loro volta usano l’interfaccia politica per azioni di lobby a sostegno dei progetti finanziari.

Se avete qualche amico non di centrosinistra a Siena, a Perugia, a Reggio Emilia, a Ferrara, provate a chiedere quale cappa di potere immarcescibile vige nella vita pubblica e negli affari di quelle zone, domandatevi la quota di mercato di Unipol in Emilia e Umbria, perché da decenni senza soluzione di continuità si succedono sempre le stesse amministrazioni locali, contro ogni legge della statistica sociale. Ed ancora, per comprendere quale sia la pressione del mondo delle cooperative sull’azione parlamentare di una certa area politica, provate a dare una veloce occhiata alle fantomatiche “lenzuolate” di Bersani. Quindi dalle intercettazioni solo conferme di uno stato di fatto, di un gigantesco e oscuro conflitto d’interessi che sopravvive da molti lustri e che ha distorto le dinamiche politiche, e non solo delle regioni “rosse” (qualcuno lo dica per favore all’Unità e a Furio Colombo).

Piuttosto quello che sorprende è il perseverare anche in questi giorni di quell’arrogante presunzione di antropologica superiorità morale della sinistra che ha invaso la nostra vita politica e culturale, soprattutto negli ultimi quindici anni. Da quando Berlinguer, con le tasche ancora colme di rubli, poneva la questione morale, noi che non apparteniamo a quella tradizione e non abbiamo il diritto neanche di essere considerati “società civile”, siamo stati strutturalmente discriminati, patologicamente propensi all’amoralità di ogni nostro gesto, beceri quali siamo.

Una presunta superiorità morale che salvò i post comunisti da Tangentopoli anche quando le valigette, entrate piene nei piani bassi di Botteghe Oscure, uscivano vuote da quelli alti. Una superiorità che spazzò via un’intera classe dirigente democratica che, con molte responsabilità, stava cercando di resistere, anche con finanziamenti irregolari, alla potente macchina propagandistica (e gioiosa) dei post-comunisti, alimentata nei modi di cui sopra. Erano gli anni in cui i politici, i segretari amministrativi e gli imprenditori si suicidavano in carcere e fuori, alcuni magistrati andavano in Tv a minacciare dimissioni nel caso il Parlamento avesse approvato questa o quella legge (come nel caso del decreto Biondi), erano gli anni di “resistere, resistere resistere, come sulla linea del Piave”, erano gli anni nei quali qualcuno voleva “rovesciare l’Italia come un calzino”. Erano gli anni in cui il Parlamento votava l’autorizzazione a procedere per reati di mafia per Giulio Andreotti (sorpreso, dicevano, in atteggiamenti intimi con Totò Riina?!), gli anni in cui Craxi veniva lasciato al suo infame destino, perché “non poteva non sapere”. Anni oscuri, forse i più oscuri del dopoguerra assieme al cupo periodo del terrorismo, dove gli stessi che oggi parlano di indignazione, sconcerto, urgenza di mettere un freno alle intercettazioni, istigavano il popolo beota al lancio di monetine, configurando nel Paese un clima da Piazzale Loreto (clima peraltro non nuovo ad alcuni di loro).

Quello che sorprende invero di più sono le reazioni della maggioranza dell’opinione pubblica e degli interessati che schiamazzano al grido di “suk indecente”, in un Paese che si è visto per anni recapitare avvisi di garanzia a mezzo stampa (tanto più se indirizzati al Presidente del Consiglio, mentre questi presiedeva in via istituzionale una conferenza internazionale, avviso di reato poi rilevatosi inconsistente), dove alcuni magistrati  sbandierano l’icona dell’indipendenza della magistratura offesi come primedonne, ogni volta che qualcuno mette in dubbio la linearità del loro operato.

Chi la fa l’aspetti o meglio, chi di spada ferisce di spada perisce. E chi di spada è stato ferito nel passato, non sia troppo educato, troppo solidale. Si faccia in modo che questi moralisti diversamente morali, non ritornino fra qualche anno, quando tutto questo clamore sarà sopito, a farci la predica, a pontificare, a parlare di conflitto di interessi, a dirci che cosa dobbiamo e non dobbiamo fare, a dirci che tutto è giusto e buono a patto che sia quello che loro pensano. E il tempo di uscire dal ghetto in cui hanno rinchiuso per anni coloro che la pensavano diversamente.   

(Milton)