Charlie, eutanasia di Stato

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Charlie, eutanasia di Stato

30 Luglio 2017

Il piccolo guerriero Charlie Gard è morto due giorni fa, dopo che gli hanno sfilato dal naso i tubi del respiratore che gli permetteva di vivere. Non è morto a seguito della sua malattia, quindi, perché quando gli hanno interrotto la respirazione non c’era una diagnosi di morte cerebrale, ma era ancora vivo. Lo hanno fatto perché secondo i medici e i giudici la sua non era vita ma solo sofferenza, a prescindere dal dolore fisico che nessuno ha mai dimostrato che ci fosse. Charlie, comunque, era sedato. Lo hanno fatto perché nelle sue condizioni i medici del cosiddetto miglior ospedale pediatrico britannico fin dallo scorso novembre, appena avuta la diagnosi della sua malattia, hanno deciso che non valeva la pena che vivesse, e gli avrebbero staccato il respiratore subito, prima di Natale, se i genitori non si fossero opposti.

A novembre il comitato etico del Gosh ha infatti negato al bambino la tracheotomia, che si usa quando la respirazione artificiale si protrae nel tempo, perché erano certi che a Charlie di tempo ne sarebbe restato poco, ma non di suo – gli davano dai sei ai nove mesi di vita – piuttosto perché, come abbiamo capito, la sua era una degenerazione progressiva di una patologia letale, senza speranze di miglioramento, e il bambino aveva danni cerebrali.  Abbiamo capito che oramai anche nei migliori ospedali in questi casi la tendenza è che i malati, concretamente, si abbandonano e si fanno morire. Formalmente, invece, si dice qualcosa di diverso: per evitare sofferenze e “trattamenti futili” si fanno solo cure palliative, dando per assodato che queste non devono includere i sostegni vitali, (respirazione e nutrizione) che, se ci sono, vengono interrotti.

Charlie è morto probabilmente per abbandono terapeutico, sicuramente per eutanasia di stato, come ieri ha commentato Eugenia Roccella. Abbandono terapeutico, perché al Gosh le cure non hanno neanche provato a cercarle. E non sapremo mai cosa sarebbe successo se invece si fosse tentato. La dottoressa dell’ospedale “esperta” in malattie mitocondriali, che pure conosceva Hirano, il medico americano – i pochissimi studiosi del settore si conoscono tutti – l’ha contattato solo su richiesta dei genitori, che hanno trovato da soli, in internet, i trattamenti che avrebbero potuto aiutare Charlie.

Vorrei ricordare che Chris, il papà di Charlie, è un postino, e Connie, la sua mamma, è una badante. Ma già lo scorso dicembre avevano capito quello che i massimi esperti mondiali del settore, sette mesi dopo, hanno riconosciuto: quei trattamenti, provati su bambini con patologie diverse ma molto simili, forse potevano essere utili anche per loro figlio. Lo hanno capito perché per loro valeva la pena che Charlie vivesse, a prescindere da quanto sarebbe migliorato. Ma per i medici del Gosh evidentemente non valeva la pena neppure cercargli le cure. Un atteggiamento che di scientifico, tra l’altro, non ha niente: se si ragionasse così adesso chissà quante patologie sarebbero ancora letali.

Abbiamo detto eutanasia di stato perché si è compiuto un atto che ha cagionato direttamente e intenzionalmente la morte di Charlie. Come detto anche dal dott. Bertini dell’ospedale Bambino Gesù in conferenza stampa, il ventilatore si stacca in presenza di diagnosi di morte cerebrale. Cioè si stacca quando non serve più. In caso di morte imminente, se l’organismo nel suo complesso cede, dal cuore ai reni al fegato, non sarà un respiratore a tenerlo in vita. Di stato perché decisa non dai genitori ma da autorità pubbliche, con procedure legali, in tutto il percorso. Un ospedale pubblico, sostenuto da chi dovrebbe amministrare la giustizia, ha di fatto messo in atto un sequestro di persona, impedendo ai genitori di Charlie di cambiare ospedale per loro figlio – ricordo che Chris e Connie non erano oggetto di provvedimenti restrittivi, nessuno li ha dichiarati incapaci a prendersi cura del piccolo – prima per impedire loro di tentare una cura, a loro spese, poi per imporre di staccargli il respiratore, e infine anche dove e quando farlo morire.

Se Gramellini ricorda addirittura che per qualcuno Charlie non è mai esistito, suggerendo che forse un po’ anche lui non considera la sua una vita vera e propria – Charlie fantasma del Louvre? – oggi sui giornaloni è un tripudio di ipocrisia e falsità. Sono solo sepolcri imbiancati quelli che fanno finta di credere alle patetiche, ridicole, false scuse del Gosh sulle dimensioni del ventilatore che non sarebbe entrato dalla porta d’ingresso; sul problema di salire le scale che non c’erano, visto che i Gard abitano a piano terra; sul problema del trasporto in ambulanza per le strade sconnesse, come se all’hospice ci sia arrivato su un morbido tappeto volante; sul problema di garantire la privacy alla famiglia, quando invece la denuncia per chi pubblicizzasse nome dell’hospice e orario della morte era solo per impedire democratiche pubbliche manifestazioni da parte dei sostenitori della famiglia Gard, che aveva pure trovato un’equipe di medici e infermieri disposti ad assistere il bambino per qualche giorno, in un hospice, per poter avere più tempo.

L’ha spiegato Connie Yates ma i giornali non lo scrivono e perciò anche se la sua dichiarazione è lunga vale la pena riportarne la gran parte perché non ci siano alibi:

Il primo dottore era un medico specialista ospedaliero di alto livello, in possesso di doppia iscrizione all’ordine dei medici del Regno Unito per pediatria e neonatologia. Il secondo era un medico specialista di medicina respiratoria pediatrica. Entrambi i medici erano disposti a condividere l’assistenza e le cure e a essere presenti in loco 24 ore su 24. Inoltre, avevamo a disposizione anche un’équipe d’infermieri di terapia intensiva che, a rotazione, sarebbe stata al capezzale di Charlie 24 ore su 24. In più, ci è stato offerto di poter utilizzare un appartamento con due camere da letto, completamente dotato di tutta l’attrezzatura necessaria. Al momento, Charlie non necessita di tale livello di assistenza, ma ha bisogno che ci si prenda cura di lui, ha bisogno di sentirci vicino. Nonostante noi e il nostro pool legale abbiamo lavorato instancabilmente per cercare di predisporre questa sfida pressoché impossibile, il giudice si è pronunciato a nostro sfavore e ha accordato quanto aveva richiesto il GOSH. Di conseguenza, questo ci concede pochissimo tempo insieme a nostro figlio. Non mi è consentito divulgare il luogo o quando tutto ciò avverrà, ma sono scioccata che dopo tutto quello che abbiamo dovuto sopportare, non ci sia stato concesso del tempo supplementare da poter trascorrere con Charlie. Dal momento che non ci è stato permesso di realizzare il nostro desiderio, abbiamo chiesto di poter avere del tempo extra, ma anche questo ci è stato negato*.

Che i giornali non riportino tutto questo è semplicemente vergognoso, è l’ennesima prova della loro inattendibilità. E da ultimo, va tenuto conto del “salto di qualità” del percorso giuridico riservato a Charlie, rispetto a quelli di Terry Schiavo ed Eluana Englaro, dove il problema delle corti era accertare il consenso delle due persone in stato vegetativo, fermo restando che tutti i familiari per Eluana e il marito per Terry spergiuravano sui rispettivi consensi a morire. Dal punto di vista giuridico c’è una differenza sostanziale. Ricordiamo che persino il famigerato protocollo olandese di Groeningen, quello che stabiliva procedure di eutanasia su piccoli nelle condizioni di Charlie, prevedeva necessariamente il consenso dei genitori. Con Charlie siamo ufficialmente entrati nel Mondo Nuovo dove l’eutanasia sui disabili gravissimi è decisa dallo Stato, con rigoroso procedimento legale. E in fondo, pensandoci bene, non è poi così Nuovo.

*Traduzione di Giuseppe Focone