Chavez e Ahmadinejad rilanciano il petrolio come arma politica

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Chavez e Ahmadinejad rilanciano il petrolio come arma politica

19 Novembre 2007

Da Riyad sono arrivate una
notizia buona e una cattiva. La buona è che i paesi aderenti all’Opec hanno
promesso alla comunità internazionale di garantire la fornitura regolare e
adeguata di petrolio per i prossimi mesi. La cattiva è che il summit non fermerà
le tensioni sui mercati perché la geopolitica l’ha fatta da padrone anche in
Arabia Saudita e così la pistola dell’oro nero è sempre più pericolosamente nelle
mani di Ahmadinejad e Chavez che minacciano di far volare il prezzo fino a
quota 200 dollari in caso di intervento militare americano contro Teheran.

Ma andiamo con ordine.
L’attesa era tanta per il terzo vertice dei capi di stato dei paesi raccolti
nel cartello petrolifero mondiale (il prossimo sarà in Libia nel 2012). Due
giorni di confronto in cui non sono mancate le decisioni ma, allo stesso tempo,
le inevitabili frizioni tra il fronte più pragmatico – Arabia Saudita in testa
– e quello, capitanato da Iran e Venezuela, che ha spinto per una gestione più
spregiudicata della crisi petrolifera per monetizzare soprattutto in termini
politici e qualche risultato ha portato a casa. La moderazione saudita ha fatto
sì che nel documento finale del summit venisse affermato che i rifornimenti
saranno “adeguati, sufficienti e tempestivi” e che non è colpa dell’Opec se il
petrolio ha già sfondato i 98 dollari al barile e vede da vicino la soglia
psicologica dei 100.

A far volare i prezzi – hanno
accusato i paesi produttori – sono la debolezza del biglietto verde americano e
gli speculatori. “Senza questi due fattori il prezzo sarebbe al suo livello
fisiologico, ovvero 55 dollari” ha spiegato Chakib Kelil, ministro algerino del
petrolio che assumerà la guida del cartello a partire dal prossimo anno. Nonostante
tutto, comunque, i tredici paesi (da Riyad è infatti rientrato nel consesso
anche l’Ecuador) hanno deciso di rinviare la questione della moneta di
riferimento. Da più parti – Iran in testa – arrivavano pressioni per
abbandonare la divisa statunitense e virare verso l’Euro ma la decisione è
stata diplomaticamente congelata in attesa di segnali dai mercati dei cambi e
di una frenata della moneta unica europea. La picchiata del dollaro fa paura ma
il suo abbandono nel breve periodo sarebbe pericoloso: ecco che un’ipotesi
intermedia – ovvero la creazione di una sorta di paniere di valute – potrà
essere una soluzione plausibile. L’ipotesi del paniere è stata girata ai
ministri finanziari dei paesi che fanno parte dell’Opec che già hanno una
matassa intricata da sbrogliare prima del 5 dicembre, data della prossima riunione
ad Abu Dhabi, ovvero la questione della produzione. Qui le posizioni sembrano
più chiare: l’Opec ha ancora una volta ribadito che l’offerta è a livelli
adeguati e che la richiesta di alzare le quote, attualmente a 31 milioni di
barili al giorno per una copertura del 40% del fabbisogno petrolifero mondiale,
non è all’ordine del giorno malgrado il pressing dei governi occidentali. Ma,
come detto, l’ultima parola spetta al nuovo incontri di inizio dicembre.

Fin qui gli affari ma a Riyad
si è parlato tanto di politica grazie soprattutto a Chavez e Ahmadinejad. Nel
suo intervento condito anche da una gaffe (si è fatto il segno della croce tra
lo sconcerto degli altri leader) il presidente venezuelano l’ha sparata come
sempre grossa affermando che il prezzo del greggio salirà fino a 200 dollari in
caso di un attacco militare degli Stati Uniti contro l’Iran e che l’Opec deve
trasformarsi in agente politico internazionale attivo perché “il petrolio è la
fonte di tutte le aggressioni”. Linea sposata in pieno dal capo del regime di
Teheran che se da un lato ha mostrato cautela (“Noi non vorremmo mai  dover utilizzare il petrolio come arma”)
dall’altro ha tenuto a precisare che il prezzo attuale dell’oro nero è ancora
sotto il suo reale valore e che l’Opec deve spendersi per rispondere alle
pressioni internazionali. Insomma, mentre l’Arabia Saudita difende la linea
moderata e di dialogo costante con Washington, Chavez e Ahmadinejad continuano
nella loro opera di “goccia cinese” presso gli altri paesi per imporre una
linea più agguerrita. L’Ecuador di Correa è già dalla loro parte e anche altri
paesi (in primis il fronte africano con Nigeria e Angola) vacillano. Intanto,
per provare a far contenti tutti, l’Opec ha premesso nel suo documento finale
che “la pace nel mondo è importante per la stabilità dei mercati dell’energia”
e promesso di stanziare 450 milioni di dollari per studi sull’energia e
ricerche sui cambiamenti climatici.