Chavez minaccia la Colombia per lanciare un messaggio agli Usa

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Chavez minaccia la Colombia per lanciare un messaggio agli Usa

11 Novembre 2009

Che tra Colombia e Venezuela non corra buon sangue non è cosa nuova. Ma se nella contesa tra i due litiganti spuntano gli Stati Uniti, allora il clima, da freddo, si fa gelido e cominciano persino ad affiorare scenari di guerra. Come quella ventilata dal presidente venezuelano Hugo Chavez che domenica scorsa, parlando alla nazione attraverso il settimanale programma radiotelevisivo ‘Alò Presidente’, si è rivolto a esercito milizie locali e civili esortando tutti a “essere pronti a difendere la patria”. 

“Non perdiamo tempo: prepariamoci alla guerra e aiutiamo la gente a prepararsi alla guerra” ha detto, perché questo atteggiamento costituisce “il modo migliore per evitarla”. Il bellicoso proclama di Chavez aveva come obiettivo la vicina Colombia, ma il destinatario finale del messaggio erano gli Stati Uniti. I due paesi il 30 ottobre avevano  firmato un accordo di cooperazione militare che consente a soldati e ‘contractors’ di avere accesso a sette basi delle forze armate del Paese Sudamericano e di utilizzare scali civili per coordinare operazioni antidroga e antiterrorismo. E la mossa non è piaciuta al presidente venezuelano, che non l’ha mandata a dire.

Da Bogotà la replica non si è fatta attendere e il governo colombiano ha annunciato che porterà le minacce di guerra di Chavez al vaglio del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e all’Organizzazione degli Stati Americani. Cesar Velasquez, portavoce del governo guidato dal presidente Alvaro Uribe, attraverso una nota ha fatto sapere  che “La Colombia non farà un solo gesto di guerra nei confronti della comunità internazionale, e men che mai di paesi fratelli. L’unico interesse che ci muove è quello di battere il narcoterrorismo che per tanti anni ha colpito i colombiani”.

La Colombia è il principale alleato degli Stati Uniti nel Sudamerica – Bogotà a partire dal 2000 ha ricevuto da Washington circa sei miliardi di dollari, la maggior parte dei quali in aiuti militari – e per gli americani l’accordo del 30 ottobre risulta strategicamente rilevante, dal momento  che gli Usa cercavano un nuovo centro regionale per le loro operazioni militari, dopo che l’Ecuador si è rifiutato di rinnovare la concessione d’utilizzo della sua base di Manta, scaduta questa estate.

Come mai Caracas fa la voce grossa di fronte a una legittima intesa tra stati che ha lo scopo di rafforzare la guerra narcotraffico? Perché Chavez evidentemente è convinto che l’accordo siglato dal ministro degli esteri colombiano Jaime Bermudez e dall’ambasciatore degli Stati Uniti a Bogotà William Brownfield non significhi solamente che dagli attuali 230 militari Usa e 400 contrattisti che già operano sul territorio colombiano si passerà a un numero superiore,  che comunque non oltrepasserà gli  800 tra i primi e i 600 tra i secondi.

Chavez da tempo punta il dito contro Colombia e Stati Uniti e afferma che la collaborazione militare tra Bogotà e Washington è volta a indebolire il governo colombiano. Il fatto che  l’incontro del 30 sia avvenuto a porte chiuse e che il testo dell’accordo non sia stato reso interamente pubblico non ha fatto che alimentare sospetti già desti. L’arrivo di nuovi soldati e contrattisti e la possibilità di accedere a basi militari, significa implicitamente che crescerà anche la presenza dell’intelligence americana sul territorio colombiano, con conseguente maggior numero di informazioni a cui potrà accedere. E sapere che gli Usa stanno puntellando  le loro posizioni appena oltre i confini occidentali del suo paese, a Chavez non deve piacere affatto, tanto da fargli dire nel discorso di domenica: “Bisogna parlare con chi comanda e per questo dico a Obama: non ti sbagliare ordinando una aggressione aperta contro il Venezuela utilizzando la Colombia”.