Chavez vince il Referendum e la democrazia venezuelana fallisce

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Chavez vince il Referendum e la democrazia venezuelana fallisce

16 Febbraio 2009

Le prime notizie ufficiose sul referendum venezuelano hanno iniziato a filtrare qualche minuto dopo che si chiudessero le urne. Ali Rodriguez, uno dei dirigenti del partito socialista, ha dichiarato che “il popolo del Venezuela può celebrare una nuova esperienza democratica” definendo quella del voto “una giornata di festa”. I primi exit poll hanno confermato che il fronte del sì era in vantaggio. E alla fine Chavez ce l’ha fatta. Non ha vinto con una valanga di voti ma basteranno al 54enne presidente venezuelano per modificare la Costituzione e ricandidarsi a tempo indeterminato alla guida del paese.

"Ha vinto la costanza, la verità non la menzogna. Si è imposta la dignità del popolo tramite una chiara maggioranza – ha detto il presidente dopo che il Consiglio nazionale elettorale aveva decretato i risultati del voto – oggi abbiamo spalancato le porte del futuro. Il Venezuela non tornerà a un passato senza dignità", e ancora complimenti al popolo, al partito socialista, agli alleati. Anche un riconoscimento agli oppositori: "spero che ora tutti riconosceranno la vittoria del popolo bolivariano". "Sono un soldato del popolo, e voi siete il mio capo: a voi dedico la vittoria".

I partiti di opposizione e il movimento studentesco hanno cercato di ripetere il grande successo del 2007, quando il fronte del “No” riuscì a prevalere, bloccando la deriva bolivarista verso un regime illiberale. Anche stavolta Yon Goichoecea, il campione della protesta studentesca, ha battuto palmo a palmo le strade di Caracas insieme ai suoi compagni di università, mobilitando la gente nelle stazioni della metropolitana, nei mercati, all’uscita delle scuole e sui luoghi di lavoro. Abbiamo assistito nuovamente a imponenti manifestazioni di piazza contro “El Comandante” ma non è servito a nulla gridare “No es No!”. Il fronte del No si è fermato al 45 per cento. Rispetto al 2007, sono aumentati gli astenuti, fino al 33 per cento dell’elettorato.

La retorica liberale di Goichoecea, passato intanto nel partito centrista “Primero Justicia”, è stata più flebile del previsto e a tratti ripetitiva. L’opposizione ribadisce comunque il proprio impegno a lottare contro il "progetto totalitario" chavista, denunciando l’uso spregiudicato delle risorse statali che è stato fatto in campagna elettorale. Tomas Guanica, uno dei dirigenti di Primero Justicia, ha dichiarato che l’opposizione deve puntare all’appuntamento elettorale del 2102: "sarà l’occasione – ha detto – per avviare un cambiamento che possa portare alla democrazia".

Nel frattempo il populismo chavista continua a fare breccia nel proletariato diffuso e nelle classi popolari. Il Comandante aveva lasciato intendere che una sua sconfitta avrebbe significato la fine dei generosi programmi di assistenza sociale. Prima del referendum, Chavez aveva dichiarato: “Oggi si decide il mio destino politico”. La sconfitta dei suoi oppositori dà un inquietante sapore a questa promessa: il socialismo latinoamericano esce rafforzato da questa prova aggrappandosi al potere, nonostante la crisi economica globale. Nazionalizzazioni e controllo dello stato sull’economia continueranno ad essere i temi centrali dell’agenda chavista fino alla fine del mandato presidenziale.

L’espulsione avvenuta due giorni fa dell’eurodeputato spagnolo Luis Herrero – "un atto inaccettabile", secondo Goicoechea – è un segnale della ritrovata aggressività diplomatica di Chavez. Herrero aveva criticato la scarsa imparzialità delle autorità che si occupano del voto in Venezuela ed è stato costretto a fare le valigie. Il bolivarismo si presenta come la punta avanzata del blocco comunista caraibico – osannato da Cuba, imitato dalla Bolivia e invidiato dall’Ecuador. Due stati, Ecuador e Bolivia, che probabilmente decideranno di cambiare il loro ordinamento costituzionale nel solco della vittoria chavista.

Oggi il Venezuela offre un modello autoritario di insicurezza sociale agli altri paesi dell’America Latina. Con un tasso di inflazione annuo del 30 per cento, Caracas è attaccata al prezzo del petrolio come un moribondo alla sua bombola di ossigeno. Il greggio è la prima fonte di ricchezza e gli incassi favolosi del passato sono finiti (il valore del barile negli ultimi tempi è crollato da 150 a 37 dollari); grazie ai petrodollari, la cura bolivarista aveva ridotto la povertà nel paese ma quest’anno il cordone della borsa è troppo stretto e il presidente è stato costretto a giocarsi una finanziaria in ribasso e dallo scarso appeal elettorale.

La vittoria referendaria gli permetterà comunque di far passare in modo più indolore i tagli alla spesa pubblica e il probabile aumento della pressione fiscale. Così a farne le spese sarà quella ingrigita classe media che non ha avuto la forza di appoggiare la resistenza studentesca al bolivarismo.