Che Bashir è un criminale lo sapevamo già, la Corte dell’Aja ha sbagliato

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Che Bashir è un criminale lo sapevamo già, la Corte dell’Aja ha sbagliato

16 Luglio 2008

Forse nessuna delle principali dichiarazioni ufficiali seguite all’annuncio che il presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, è stato accusato dalla Corte penale internazionale di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, è entrata nel merito della fondatezza dei 10 capi d’accusa in base ai quali il Procuratore della Cpi, l’argentino Luis Moreno Ocampo, ha chiesto il mandato d’arresto del leader sudanese sul quale nelle prossime settimane si dovranno pronunciare i giudici. Nessuno mette in dubbio, infatti, che le milizie arabe janjaweed, scatenatesi in Darfur nel 2003 contro le etnie di origine africana, godano del sostegno militare e finanziario del governo di Khartoum. Il regime di Bashir è da decenni che attua un progetto di arabizzazione del Sudan di cui le prime vittime sono stati gli abitanti del sud, decimati da una guerra iniziata all’indomani stesso dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, nel 1956, e conclusasi nel 2005. Si discute piuttosto sull’efficacia dell’iniziativa del Cpi e sulla sua eventuale valenza politica.  

Dateci Bush e vi consegneremo Bashir” è il titolo molto significativo che il 15 luglio occupava la prima pagina del quotidiano algerino Algerie News sintetizzando le reazioni del mondo arabo islamico, quasi unanime nel definire la Cpi un organismo al servizio dell’Occidente. Un comunicato dell’Organizzazione della Conferenza islamica si domanda come mai la Cpi “spesso silenziosa sulle atrocità commesse in varie parti del mondo, come in Palestina ad esempio, trovi ora appropriato sollevare una questione che rischia di precipitare nel caos il Sudan e l’intera regione”. E Hamas ha definito la Cpi “un giocattolo nelle mani degli USA”: un’accusa davvero singolare tenuto conto del fatto che gli Stati Uniti non hanno mai ratificato lo statuto della Corte e non ne riconoscono la giurisdizione, proprio come il Sudan che difatti aveva già respinto ogni ingerenza da parte della Cpi nel febbraio del 2007, allorché per gli stessi reati la Corte aveva incriminato il generale Ali Kushayb e l’attuale ministro sudanese degli affari umanitari, Ahmad Muhammad Harun. Il titolo del quotidiano Algerie News evidenzia anche un problema che fin dall’inizio ha reso dubbiosi molti analisti sull’utilità della Cpi: la mancanza di mezzi per catturare chi non intende consegnarsi spontaneamente alla giustizia internazionale e quindi la sua dipendenza dalla collaborazione delle autorità e delle forze dell’ordine degli stati in cui gli imputati vivono.  

I giudici decideranno il modo migliore per garantire la loro comparsa davanti alla Corte”, aveva affermato il Procuratore capo nel 2007 in merito ai due sudanesi incriminati, ma evidentemente ancora non l’hanno trovato così come non sono riusciti a farsi consegnare Joseph Kony e i suoi luogotenenti, per i quali sono stati spiccati mandati di cattura internazionali nel 2006. Come si ricorderà, Kony è il fondatore del Lord Resistance Army, il movimento armato antigovernativo che per 20 anni ha seminato morte e terrore nel nord Uganda. La denuncia della Cpi non solo non ha portato al suo arresto, ma, per giunta, è arrivata proprio quando l’Lra aveva appena accettato una tregua e si era detta disposta a trattare un accordo di pace con il governo ugandese. Da allora rappresenta uno dei maggiori ostacoli al proseguimento delle trattative: Kony infatti pone tra le condizioni di pace la revoca dei mandati di cattura della Cpi, chiedendo di essere giudicato da tribunali ugandesi. 

Anche nel caso del Darfur, l’iniziativa della Corte rischia di compromettere i difficili colloqui in corso tra i contendenti, convinti a trattare grazie a un lungo lavoro di mediazione delle Nazioni Unite, nonché il dispiegamento della Unamid, la missione che vede impegnate in Darfur Nazioni Unite e Unione Africana e che a pieno regime dovrebbe raggiungere le 26.000 unità, e il funzionamento dell’altra missione di peacekeeping ONU in Sudan, la Unmis, operativa dal 2005 per vigilare sull’applicazione del trattato di pace tra Khartoum e sud del Sudan e sulla ricostruzione delle regioni meridionali. 

Questo spiega la “forte preoccupazione” subito espressa dal Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, e quella del presidente dell’Unione Africana, il leader del Tanzania Jakaya Kikwete, che ha invitato la Corte a rivedere la propria decisione “finché non avremo risolto i principali problemi nel Darfur e nel sud del Sudan”. Un problema in più si pone per l’Italia. Il Piano Africa, varato dal nostro governo per avviare rapporti di commerciali e di partnership con alcuni stati africani, include il Sudan: la Farnesina dovrà valutare l’opportunità di intrattenere rapporti privilegiati con un partner accusato di reati tanto gravi.