Che farà l’America per non ricadere negli errori del passato?

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Che farà l’America per non ricadere negli errori del passato?

09 Ottobre 2008

In risposta a una domanda fortuita il segretario della difesa americano Robert Gates ha messo a segno un colpo storico, lasciando cadere un commento estemporaneo che ci insegna di più sul Medio Oriente che un centinaio di libri. Un ex comandante dei marines, inoltre, aggiunge una rivelazione altrettanto importante su eventi ormai remoti, ma decisivi per il nostro presente.

Quasi trent’anni fa il presidente Jimmy Carter cercò di mostrare che brav’uomo era pregando lo Shah di non reprimere la rivoluzione nel sangue. Dopo la caduta della monarchia il consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski incontrò le alte cariche del nuovo regime islamista per offrire l’amicizia degli USA al governo controllato dall’ayatollah Ruhollah Khomeini. All’epoca scrissi che avvicinandosi ad alcuni radicali più miti l’amministrazione avrebbe spaventato i più militanti. Le relazioni tra USA e Iran vanno troncate, fu la conclusione, altrimenti sarebbe stato come se Washington avesse sostenuto i suoi rivali. In realtà, come vedremo tra poco, l’amministrazione Carter offrì il proprio sostegno allo stesso Khomeini.

Tre giorni dopo l’incontro con Brzezinski, nel novembre del 1979, i vertici del regime islamista presero in ostaggio l’ambasciata USA e il suo staff, e li tennero sotto sequestro fino al gennaio del 1981. È così che abbiamo fatto la conoscenza dell’islamismo radicale nel nuovo Medio Oriente. Carter perserverò nella sua posizione debole, lasciando intendere al regime di Teheran che avrebbe potuto fare quello che voleva restando impunito.

Quindi non è una scoperta di oggi che indebolire gli alleati degli Stati Uniti, restare passivi di fronte al radicalismo antiamericano e con le mani in mano dopo un colossale attacco terroristico ai danni dell’America sono strategie che funzionano. Se gli ostaggi furono liberati è soltanto perché l’Iran aveva subito una violenta invasione irachena e temeva che il successore di Carter, Ronald Reagan, sarebbe stato un presidente più deciso. Non abbiamo ancora imparato la lezione, cioè difendere con forza i nostri interessi e combattere i nostri nemici. Al giorno d’oggi la ricetta per il successo popolare è esattamente quella opposta, e gli Stati Uniti stanno per eleggere un presidente la cui visione del mondo si avvicina all’approccio di Carter.

È qui che entra in gioco Gates. Il 29 settembre, nel corso di una lezione alla "National Defense University" di Washington DC, uno dei presenti gli ha domandato come il nuovo presidente potrebbe migliorare le relazioni con l’Iran. Gates ha risposto: “Sono trent’anni che continuo a cercare invano il famoso ‘iraniano moderato’". È allora che Gates ha rivelato il vero contenuto delle trattative condotte da Brzezinski, alle quali era presente anche lui, e ha riassunto in questi termini le cose dette allora: “Accetteremo la vostra rivoluzione… Riconosceremo il vostro governo. Venderemo tutte le armi che avevamo convenuto di passare allo Shah… In futuro potremo lavorare insieme”.

Gli iraniani pretesero dagli Stati Uniti la consegna dello Shah fuggiasco, per condannarlo a morte. Brzezinski rifiutò. Tre giorni dopo l’Iran prese possesso dell’ambasciata e cambiò per sempre il Medio Oriente. La via imboccata allora ha condotto alla guerra Iran-Iraq e alla guerra del Kuwait, alla presa di potere di Hamas e di Hezbollah, all’11 Settembre e a molte altre conseguenze. Migliaia di persone sarebbero morte a causa della incertezza dell’America e dell’aggressività dell’Iran.

Forse gli Stati Uniti hanno trattato il nuovo Iran islamista con violenza e arroganza? Al contrario, Washington fece del suo meglio per negoziare, conciliare, costruire una fiducia reciproca. Faremo quasi tutto quello che vorrete, era l’offerta di Carter e Brzezinski, ma siate nostri amici. Ben lungi dall’accontentarsi, l’Iran ha preteso un’umiliazione così completa – consegnare lo Shah detronizzato, già gravemente malato, perché fosse condannato a morte – che perfino quell’amministrazione dovette rifiutare. Ben lungi dal persuadere Khomeini che gli Stati Uniti erano una minaccia reale, il governo americano ha recitato la parte del gigante patetico e inerme, convincendo Teheran – nelle parole dello stesso Khomeini – che l’America non poteva farci un bel niente. La sua rivoluzione e la sua ideologia erano troppo forti.

Perché dovremmo attenderci che una tattica del genere funzioni oggi? Quanto ci vorrà ancora per accettare il messaggio, per capire che abbiamo a che fare con una rivoluzione ideologica dalle ambizioni smisurate che vede l’America come un ostacolo inevitabile? Distensione, discussioni, scuse, misure studiate per consolidare la fiducia, non riusciranno mai a convincere Teheran che l’America è un paese amico, ma al massimo che è un nemico così debole che un atteggiamento aggressivo sembrerebbe destinato a un successo sicuro.

L’unica condizione posta dagli USA all’avvio di un dialogo serio è stato che l’Iran interrompesse la sua corsa agli armamenti nucleari, almeno temporaneamente. Gates capisce bene che cosa è accaduto: “da allora tutte le amministrazioni che hanno teso la mano all’Iran hanno fallito in un modo o nell’altro. La verità è che i vertici dell’Iran adottano sistematicamente da anni un atteggiamento inflessibile di fronte alle ripetute aperture degli Stati Uniti per un rapporto diverso e migliore”.

Ci sono forti analogie con gli sforzi fatti per ottenere condizioni ragionevoli per un dibattito con la Palestina – stop al terrorismo e all’incitazione alla violenza, creazione di due Stati distinti – o con la Siria – fermare la sponsorizzazione del terrorismo, smettere di tentare di conquistare il Libano, accettare relazioni normali con Israele come risultato della pace. Offerte simili sono state estese a Hamas ed Hezbollah. Eppure anche questo è sembrato troppo agli interlocutori, e a tutti quelli che continuano a ostacolare il tentativo dell’Occidente di agire sulle forze radicali. Se l’altra parte in causa non concede nulla, insistono quelli, non resta che offrire di più. E se le concessioni vengono accettate, intascate e nulla viene offerto in cambio, e questo atteggiamento si protrae, vuol dire semplicemente che si tratta di dare sempre di più.

È un errore, ed ecco altri elementi che lo provano L’ex colonnello dei marines Timothy Garaghty era al comando quando nel 1983 alcuni attentatori suicidi attaccarono con esplosivi la base delle forze di pace americane a Beirut, uccidendo 242 Americani. Oggi Garaghty rivela che il 26 settembre 1983 le intercettazione dell’intelligence americana dimostrarono che l’ordine di attaccare era partito dal governo iraniano per il tramite dell’ambasciata iraniana in Libia. La risposta indecisa a quell’operazione ha fissato un modello che avrebbe condotto fino agli attacchi dell’11 settembre.

A tre decenni dal misero fallimento della politica di amicizia incondizionata con l’Iran islamista – che comprendeva l’offerta fatta a Khomeini di continuare a fornire armi all’Iran, non so se mi spiego! – non è l’ora di imparare una lezione così semplice?