Che fare il 17 marzo?

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Che fare il 17 marzo?

17 Marzo 2011

La celebrazione dei 150 anni di unità italiana è avvenuta finora in sordina, relegata in ambienti culturali più volti al passato che al futuro, con uno scarso appeal sull’opinione pubblica più ampia: e se si fa mente locale non solo sullo stato delle nostre istituzioni e dei nostri partiti, ma anche sulla chiusura autoreferenziale della nostra cultura, non ci si può stupire che questo sia il punto di approdo.

E tuttavia è giusto celebrare questo "tondo" e significativo anniversario dell’unità. Ma per far ciò in modo serio ed equilibrato, occorre prendere le mosse dal fatto che, al netto di tutte le polemiche sulle modalità con cui è stata raggiunta, sul ruolo dei Savoia, sui costi per il Nord, sulle conseguenze per il Sud, sul ruolo (allora inevitabilmente prevenuta e ostile rispetto ad un tema che incideva sulla questione del potere temporale) della Chiesa cattolica, l’unità del Paese è stato un evento indefettibile e direi quasi storicamente necessitato all’interno della vicenda della costruzione degli stati nazionali in Europa. Si tratta, come è sempre opportuno ricordare, di un processo durato più di duecento anni (se si prendono le mosse, almeno, a partire dalla pace di Westfalia nel 1648), culminato con la costruzione unitaria di Germania e Italia nella seconda metà del XIX secolo e terminato definitivamente dopo la prima guerra mondiale con la dissoluzione dell’Impero Asburgico e la costruzione di Stati nazionali anche su quell’ampia parte di territorio europo. E’ in Europa, all’interno di questo lungo e tortuoso processo, che si afferma il modello dello Stato nazionale, basato sulla (tendenziale) omogeneità etnica, linguistica, religiosa, culturale della Nazione, quale collettività sottesa allo Stato.

Il processo di costruzione degli Stati nazionali europei si è, proprio nella sua fase conclusiva, intrecciato con l’emersione dell’altro grande fenomeno statuale moderno, alternativo allo Stato nazionale, quello degli stati federali, così come sorti dalla ribellione delle elités bianche verso le madrepatrie coloniali britannica, francese e iberiche (tra la seconda metà del XVIII secolo e l’inizio del XX si sviluppano le esperienze federali degli Stati uniti di America, dell’Argentina, del Brasile, del Messico, del Canada, dell’Australia). E mentre il modello dello Stato federale troverà un significativo successo nella seconda metà del XX secolo, con la sua successiva assunzione in molte vicende postcoloniali (India, Nigeria) ovvero come strumento – praticato o ipotizzato – per la risoluzione dei conflitti etnici, culturali, religiosi (Sudafrica, Etiopia, Iraq, Sudan prima della secessione del Sud, Pakistan prima della divisione in due Stati, ecc.; ovvero Cipro, come tentativo), la vicenda degli stati nazionali europei precipiterà nel nazionalismo e nel colonialismo, che incontreranno infine una drammatica condanna e conclusione con la seconda guerra mondiale e con la fine del colonialismo negli anni immediatamente successivi.

Ma è proprio dall’Europa e in Europa, anche grazie al fondamentale apporto dell’Italia e di politici e di intellettuali italiani, che nasce una nuova esperienza istituzionale, quella della comunità europea, che nel giro di poco più di sessanta anni condurrà ventisette Stati nazionali europei, fino a pochi decenni prima in guerra tra di loro, ad avere principi costituzionali comuni, discipline giuridiche comuni dei più importanti settori di vita associata, istituzioni politiche, amministrative e giudiziarie comuni; e ciò avviene all’interno di un processo di sostanziale federalizzazione (che assorbe i precedenti federalismi statal-nazionali, quali quello tedesco, austriaco, belga, spagnolo, rendendoli assimilabili ai fenomeni di sussidiarietà territoriale, che prevalgono in tutte le esperienze europee), la cui durata temporale è ancora minore a quella della maggior parte delle grandi esperienze federali extraeuropee ricordate appena sopra. Secondo un percorso complicato che non può essere qui sviluppato, cambia il luogo – ma anche il concetto stesso – di sovranità.

Discutere di centocinquanta anni di unità italiana senza tener presenti queste coordinate e senza rendersi conto dell’inserimento dell’Italia in questo grande processo di (ri)costruzione dell’unità europea, all’interno di un modello statuale di tipo (neo)federale, è solo un provinciale esercizio retorico e una povera speculazione politicante, che suona triste e ridicola. Così come, a pensarci bene, ridicolo appare che proprio sul modo di celebrare l’unità dell’Italia si dividano le Regioni, qualcuna decidendo di chiudere le scuole, altre di far svolgere normalmente le lezioni. Nulla quaestio sugli inizi differenziati dell’anno scolastico, ma almeno sull’unità dell’Italia le modalità di celebrazione (e non è scandaloso pensare che si lavori il giorno dell’unità italiana, anzi ciò sarebbe maggiormente congruente con lo stato del nostro Paese, ed è invece ben triste argomento per la "chiusura" del paese il fatto che quest’anno le festività civili cadano tutte in giorno già festivo!) devono essere unitarie e unitariamente stabilite dal governo nazionale.

(Tratto da Federalismi.it)