Che fine fanno le garanzie costituzionali nella riforma Renzi

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Che fine fanno le garanzie costituzionali nella riforma Renzi

05 Agosto 2016

138 è il numero dell’articolo della Costituzione della Repubblica Italiana che prevede la possibilità che vengano introdotte delle modifiche alla nostra Carta. Ma il 138, ovviamente, precede il 139 che dice testualmente: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Ed entrambi gli articoli rientrano in quel Titolo VI che è, interamente, dedicato alle “garanzie costituzionali”.

Quando si parla allora di riforma della Costituzione non si può dimenticare che il 138 è concepito in difesa della Costituzione stessa e stabilisce con quali criteri il Parlamento può procedere qualora qualcuno ne proponga la revisione. Fissa in particolare quante e quali votazioni – e con quali maggioranze – possono fare le due assemblee legislative di Camera e Senato. E stabilisce, in sintesi “le leggi di revisione della Costituzione sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”.

Come dire, pensateci bene, riflettete prima di modificare la nostra carta costituzionale. Emerge subito, dunque, come molto funzionale e significativa, la previsione di un approfondimento o di un ripensamento, che è sempre possibile grazie a quel termine di 3 mesi di intervallo, durante il quale si può e si deve meditare e approfondire nel Paese e tra le forze politiche un dibattito vero, onesto, capace di coinvolgere tutta la pubblica opinione. Per tutto ciò, per modificare la Costituzione, per compiere un atto politico così importante bisognava procedere in modo sereno, senza forzature e in buona fede; anche perché la revisione prevista dall’articolo 138 è concepita in perfetta coerenza ed armonia con tutte le altre “garanzie costituzionali” del Titolo VI.

Purtroppo, però, quel dibattito di almeno tre mesi non c’è stato. Un vero coinvolgimento culturale, storico-politico è mancato e, ancora una volta, si è accentuata la distanza tra Paese legale e Paese reale. Non si è parlato di quegli anni, immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, durante i quali è stata concepita e scritta la “Costituzione più bella”. Ed è la più bella perché scritta da esuli, vissuti per circa 20 anni all’estero, chi in Francia o in Svizzera, chi in Inghilterra o in America, anni durante i quali avevano assorbito una cultura cosmopolita e avevano potuto evitare il provincialismo di un’Italia isolata dal resto del mondo. Specie nei confronti dei più giovani, andava rievocata la nostra Storia più recente, l’identità e la vocazione liberale dei padri costituenti, la loro cultura e il loro patriottismo.  

Nel 1947 il nostro era un Paese sconvolto, eppure i Padri costituenti, con una grande lungimiranza  e alla ricerca del bene comune, si riunivano in Assemblea costituente  per dare un futuro all’Italia. Oggi, superata l’intera vicenda che si è svolta nella pretestuosa contrapposizione tra generazioni, siamo giunti alla vigilia di un “referendum” che segna la spaccatura del tessuto sociale e in parte anche produttivo del nostro Paese. S’è instaurato in Italia un clima che è l’esatto contrario del clima unitario e solidale che esisteva dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando, dopo cento anni, bisognava sostituire lo Statuto Albertino.

Allora il Paese ripartiva deciso verso i traguardi del “ boom” economico. Oggi l’Italia è ferma allo zero virgola, vittima di una crisi che non finisce mai e di una finanza “aggressiva”, tollerata dal governo e fatta di derivati, prodotti tossici, crediti deteriorati. E la cantilena in chiave “progressista” delle riforme che “andavano fatte da 20 anni” non convince più nessuno. L’enorme deficit pubblico aumentato in questi due ultimi anni, sta a dimostrare che le cosiddette riforme non servono a niente se non c’è crescita economica, se non sapremo eliminare lo statalismo e il clientelismo e se non verrà attuata una politica di rilancio dei ceti medi produttivi. Il prossimo referendum costituzionale, pertanto, va vissuto in termini politicamente molto positivi, va considerato come l’occasione per rilanciare quell’autentico spirito liberale e democratico che per mezzo secolo ha segnato la politica italiana.