Che fine ha fatto il ‘caro leader’ della Corea del Nord?

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Che fine ha fatto il ‘caro leader’ della Corea del Nord?

13 Settembre 2008

“E’ malato, ma si sta riprendendo”. “No, è in fin di vita”. “Storie, è morto già da tempo!”. In un turbinio di rivelazioni, precisazioni e immancabili smentite, è da martedì scorso che i media di mezzo mondo si affannano a scovare notizie sulle reali condizioni fisiche di Kim Jong-il, il sessantaseienne enigmatico leader della Corea del Nord. Compito in verità improbo, data l’assodata impenetrabilità del regime veterocomunista nord-coreano, dal quale è difficile filtri persino uno spiffero di aria, figurarsi informazioni confidenziali sul ‘caro leader’ Kim, il cui stato di salute a Pyongyang è classificato come segreto di Stato. 

La gazzarra è scoppiata quando il quotidiano sud-coreano Chosun Ilbo ha diffuso la notizia che Kim Jong-il sarebbe stato colpito da un ictus cerebrale lo scorso 22 agosto. Speculazione amplificata dalla sua mancata presenza alle celebrazioni per i 60 anni della Repubblica democratica popolare di Corea (nome ufficiale dello Stato nord-coreano), una ricorrenza molto importante per un regime che fa massiccio uso della propaganda patriottica per rinserrare le fila tra la popolazione civile. Kim Jong-il non comparirebbe in pubblico dal 14 agosto, giorno in cui ha visitato una base militare locale. La stampa sud-coreana, citando fonti diplomatiche e di intelligence, ha in seguito precisato che il leader di Pyongyang avrebbe subito un intervento chirurgico e ora si troverebbe in buone condizioni: potrebbe infatti parlare e camminare. Non sarebbe la prima volta che Kim Jong-il si sottopone a una operazione per problemi circolatori. 

Secondo Toshimitsu Shigemura, quotato esperto nipponico di questioni nord-coreane, il caro leader sarebbe in realtà morto di diabete alla fine del 2003. Kim Jong-il avrebbe sofferto per lungo tempo anche di scompensi cardiaci, epatite, problemi polmonari e di disturbo bipolare, e costretto dal 2000 sulla sedia a rotelle. Negli ultimi cinque anni, in pubblico sarebbero apparsi i suoi quattro sosia. Shigemura azzarda l’ipotesi che quello colpito dal recente malore sia uno dei suoi sostituti. A gestire il potere dalla sua morte, dunque, sarebbe un quadrunvirato di potentati del regime, in perenne lotta tra loro per la leadership. Ne farebbero parte Kim Yong-nam (numero due della nomenklatura e attuale segretario del Comitato centrale del Partito dei lavoratori di Corea), Chang Sung-taek (cognato del caro leader e responsabile del partito per le politiche di sicurezza), più altri due alti esponenti politici dell’establishment nord-coreano. 

La successione al potere è un passaggio delicato in ogni dittatura (totalitaria o autoritaria che sia). Questo vale in particolar modo per la Corea del Nord, un Paese soffocato da una crisi economica senza fine e dove larga parte della popolazione ogni giorno rischia di morire di stenti. Stabilire un approdo definitivo è particolarmente difficile in uno Stato dove la segretezza regna sovrana e le notizie che giungono all’esterno sono scarse, trattandosi il più delle volte di voci se non di semplici dicerie. Basti pensare che da anni si parla di un confronto tra falchi e colombe nelle stanze dei bottoni di Pyongyang, senza che nessuno sia riuscito ad abbozzare un quadro chiaro delle reali forze in campo. Lo stesso Kim Jong-il, ad esempio, è ciclicamente accostato a un campo o all’altro: un giorno è un ‘oltranzista militarista’, un altro un ‘riformista in salsa cinese’. 

La Corea del Nord ha le sue peculiarità. E’ stato il primo e unico Paese a governo comunista dove il potere è stato trasmesso per via ereditaria. Kim Jong-il sostituì infatti il padre Kim Il-sung nel 1994, dopo che questi morì – ufficialmente – per infarto (esiste una vulgata che lo vuole invece assassinato dal figlio). Kim Il-sung, ‘il grande leader’, è stato il fondatore della patria, proclamato alla sua morte ‘presidente eterno’, quasi fosse una divinità. Il figlio non ha mai assunto formalmente la massima carica dello Stato. 

Ma il caro leader non pare intenzionato a seguire le orme del padre. Kim Jong-il non ha mai designato un successore ufficiale tra uno dei suoi tre figli. Una scelta che se da un lato richiama la tradizione degli antichi re coreani, dall’altro contrasta con l’orientamento confuciano della cultura coreana (sopravvissuto all’indottrinamento marxista-leninista), in base al quale spetta al primogenito il ruolo di erede legittimo. In ogni modo, i tre figli del leader nord-coreano non avrebbero alcuna reale chance di salire al potere. Il maggiore, quello sulla carta con più possibilità, è lontano dai favori del padre, nonostante goda di appoggi in Cina. Il secondogenito è considerato troppo debole, mentre il terzo troppo giovane. 

Su una cosa la maggior parte degli analisti concorda: la chiave di volta in qualsiasi transizione di potere in Corea del Nord sarà l’Esercito. E’ lo stesso Kim Jong-il ad aver allargato la sfera di influenza dei militari, secondo i principi della dottrina ‘Songun’ (‘le Forze armate prima di tutto’), da lui adottata nei primi anni di governo al chiaro scopo di trasformare l’Esercito nella spina dorsale del suo potere personale. A Seul molti intravedono la possibilità che oltre il 38° parallelo si possa riproporre uno scenario già visto in Corea del Sud al termine della guerra intercoreana (1950-53), caratterizzato da sotterranee lotte di potere all’interno delle gerarchie militari. Alla fine potrebbe uscirne vincente una figura simile a Park Chung-hee, un giovane generale, che nel 1961 conquistò il potere in Corea del Sud. Park governò in modo autoritario per quasi venti anni e pose le basi per il successivo sviluppo economico sud-coreano.  

E’ più probabile, però, che a subentrare a Kim Jong-il non sia un nuovo ‘uomo forte’, ma una leadership collegiale fortemente influenzata dai militari: nessun leader politico in Corea del Nord può pensare di sostituirsi al caro leader senza il sostegno delle Forze armate. In molti credono che queste guidino già il Paese, sfruttando Kim Jong-il a fini interni come figura cerimoniale legata al culto del grande leader Kim Il-sung e in ambito internazionale come garanzia di stabilità e continuità nei negoziati sul disarmo nucleare. Washington scruta con preoccupazione l’orizzonte del Pacifico: sa bene che tra i militari nord-coreani si annidano molti oltranzisti che non intendono rinunciare al proprio deterrente atomico.