Che ha fatto Obama per meritare la Porta di Brandeburgo?

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Che ha fatto Obama per meritare la Porta di Brandeburgo?

23 Luglio 2008

Barack Obama vuole tenere un discorso presso la Porta di Brandeburgo. Ritiene che possa essere un luogo appropriato: è convinto che il pubblico che lo accoglierebbe – gli spettatori esultanti, e qualche svenevole fraulein – possa in qualche modo inaspettato migliorare le sue credenziali di politica estera.

Quello che Obama pare non comprendere è che la Porta di Brandeburgo è qualcosa che ti devi meritare. Il Presidente Reagan si guadagnò il diritto di parlarvi per l’indefessa pressione che la sua Amministrazione esercitò sull’impero sovietico, mettendolo in ginocchio; e per la sua finale ed inflessibile richiesta di “fare a pezzi il muro”. Quando il Presidente Kennedy fece visita alla Porta di Brandeburgo, il giorno del suo discorso "Ich bin ein Berliner", era il simbolo di un paese disposto ad affrontare una guerra nucleare pur di difendere Berlino Ovest.

Chi rappresenta invece Obama? E che cosa ha fatto in tutta la sua vita che gli abbia conferito il diritto di appropriarsi della Porta di Brandeburgo come simbolo della sua campagna elettorale? Qual è stato il suo ruolo nel combattere il comunismo, nella liberazione dell’Europa dell’Est -la cui creazione George Bush 41 (che assistette alla caduta del Muro di Berlino ma con modestia declinò l’invito a partecipare al trionfale momento che ne seguì) definì “un’Europa unita e libera”?

Obama non vede il controsenso? È come se un politico tedesco facesse un viaggio in America durante la propria campagna elettorale, e pretendesse di pronunciare un suo discorso presso la Statua della Libertà (i tedeschi stanno gentilmente proponendo a Obama di cercare un altro luogo).

Gli americani, d’altro canto, iniziano a realizzare quanto Obama abbia indubbiamente  un’elevata opinione di sé. Il narcisismo in politica non è una novità: ogni Senatore si guarda allo specchio e vede riflesso un presidente. Ciononostante, non credo ci sia mai stata una tale discrepanza tra l’opinione che un candidato presidenziale ha di sé, e la somma totale dei successi della sua vita. Obama è al Senato da tre anni – l’ex Senatore dell’Illinois si è dichiarato “presente” quasi 130 volte – e non ha mai contribuito significativamente all’approvazione di una legge. Come presidente della rivista Harvard Law Review, come professore di giurisprudenza e come legislatore, ha mai prodotto un singolo lavoro accademico di valore? Ha scritto un qualche articolo memorabile? La sua opera più conosciuta, quella che tutti ricordiamo, è una biografia sul tema a lui più caro: se stesso.

È questo un argomento sul quale Obama può dilungarsi senza sforzo. Nel discorso trionfale in cui accettò la nomination, Obama dichiarò che la storia era giunta ad una svolta: “Le generazioni future guarderanno al passato, e potranno dire ai loro figli che questo fu il momento in cui l’innalzamento degli oceani ha iniziato a rallentare”. Come ha notato l’economista Irwin Stelzer nel suo editoriale sul London Daily Telegraph, “Mosè separò le acque, ma con un piccolo aiuto”. Pare che invece Obama lavori da solo.

Obama potrà anche pensare di essere il Re Canuto, ma il re che ordinò alle maree di fermarsi agì esattamente per dimostare ai suoi sudditi più osequiosi che non disponeva di quel genere di potere. Obama invece non ha nessuna modestia: dopo tutto, per citare il suo slogan, “noi siamo quelli che noi stavamo aspettando”, che, traducendo il pluralis maiestatis, significa “Io sono quello che noi stavamo aspettando”. Sorprendentemente, Obama esibiva già sulla propria pedana un sigillo semi-presidenziale con tanto di motto latino, fino a quando lo scherno generale – gli veniva ricordato di non essere ancora presidente – non lo ha indotto a toglierlo.

Invece di preoccuparci affinchè gli immigrati imparino l’inglese, ci ha ammonito Obama, ognuno di noi “dovrebbe far sì che il proprio figlio parli spagnolo” (una lingua che Obama non conosce). Ha proseguito il proprio avvertimento sostenendo come sia “imbarazzante” che gli europei siano solitamente poliglotti, mentre “quando andiamo in Europa tutto quello che riusciamo a dire è ‘merci beaucoup’ (Obama difatti non parla nemmeno francese). Nel suo fluente inglese, Obama ha però dispensato in continuazione rimproveri, istruzioni e suggerimenti. Sua moglie assicura che il Presidente Obama sarebbe un leader severo: “Barack Obama ci chiederà di lavorare sodo. Vorrà che si abbandoni il cinismo, … che si esca dal proprio isolamento. … Obama non vi permetterà mai di tornare alle vostre vite come se nulla fosse accaduto, senza prendere impegni, senza informarvi”.

Durante i primi mesi della sua campagna, la domanda più ricorrente su Obama era: “Chi è?”. Ma ora ci si chiede piuttosto: “Chi si crede di essere?”. Le risposte iniziano ad essere chiare. Il redentore dei cinici e dei poco informati. Il Signore delle maree. Ed altro ancora… Ricordo, ed io non sono un esperto in materia, che Gesù curava soltanto gli ammalati. Obama invece è di più larghe vedute.

© Washington Post

Traduzione di Alia K. Nardini