Che succede a Gaza City?
13 Giugno 2007
Da quando il quartetto composto
da Russia, Ue, Usa e Onu ha indicato la Road Map e ha esortato Hamas a rispettare gli accordi di Oslo,
incassando un deciso no, e da quando il Primo Ministro palestinese Ismail
Haniyeh si è insediato al potere nel Marzo del 2006, la situazione in Palestina
non ha fatto che peggiorare.
Gli scontri degli ultimi giorni
altro non sono che la conseguenza logica di una serie di eventi infausti per la
politica palestinese. Quando la lotta
intestina al governo era ancora di entità limitata, Abu Mazen aveva avvertito i
colleghi del suo partito Fatah che un eventuale rottura della fragile
coalizione con Hamas avrebbe gettato il paese nel caos. Abbas aveva poi esortato i suoi ad agire con
prudenza e a non lasciarsi prendere da odi di parte.
Troppo tardi. Infatti il 10 Giugno si sono registrate già
le prime violente sparatorie con un corollario di tre palestinesi morti e circa
40 feriti, risultato di scontri avvenuti durante la notte nella zona di Rafah. Il
giorno dopo alcuni miliziani di al-Fatah hanno lanciato dei razzi verso
l’abitazione del Primo Ministro palestinese, Ismail Haniyeh, appartenente al
movimento di Hamas. In questo caso per
fortuna non ci sono state vittime, ma l’intento era quello di destabilizzare
politicamente il già precario governo di Unità Nazionale. L’abitazione del Primo Ministro si trova nel
campo profughi di Shati, a pochi chilometri da Gaza city. Lo stesso Haniyeh aveva lanciato svariati- e
per la verità inutili- appelli nei giorni precedenti affinché cessassero le
ostilità e si consentisse agli studenti di sostenere gli esami.
Nel frattempo anche gli uomini di
Hamas avevano bombardato la casa del Presidente Mahmoud Abbas, con tre colpi di
mortaio che non hanno causato vittime. Tra tregue di poca entità e cessate il
fuoco dalla breve vita, gli scontri si sono intensificati a partire
dall’uccisione di un membro della Guardia Nazionale per mano di alcuni uomini
di Hamas. La vittima, un venticinquenne
di nome Mohammed Sweirki, pare sia stato lanciato dal quindicesimo piano di un
edificio. Anche in questo caso c’è stato un botta e risposta, dato che gli
uomini di al-Fatah hanno immediatamente giustiziato un Imam che supportava il
Partito di Dio all’interno di una moschea. Non contenti, questi ultimi hanno
anche provveduto ad applicare meglio la legge del taglione, gettando a loro
volta dal dodicesimo piano un membro di Hamas.
Dato il blocco del valico di
Rafah, unico passaggio verso l’esterno della Striscia di Gaza, I palestinesi, sentendosi in trappola, avevano già iniziato
a tentare l’emigrazione di massa, ma una fatwa emanata dal Muftì dell’Anp aveva
ordinato ai fedeli di non lasciare il paese: “Dichiariamo che l’emigrazione
dalla Terra Santa non è consentita dalla legge religiosa. Le persone che vivono
in quelle zone devono rimanere nelle
proprie abitazioni per non abbandonarle nelle mani dei conquistatori. Coloro
che obbediranno a questa legge faranno un’azione onorevole e saranno di
sostegno per la moschea di Al Aqsa,” si legge nel testo dell’ordinanza
religiosa.
Comunque un buon numero di
testimoni oculari hanno riferito alla stampa di una generale impossibilità a
muoversi dalle proprie abitazioni a causa delle sparatorie nelle strade. Abu
Mazen aveva iniziato a parlare di golpe, messo in atto dal Partito di Dio, così
come riportato in una nota per la stampa proveniente dal suo ufficio: “Tutte le
informazioni e i fatti puntano il dito verso una fazione, cui appartengono i
leader politici e militari di Hamas, che stanno pianificando un colpo di Stati
contro la legittimazione dell’Anp,” ha fatto sapere il leader di al-Fatah.
Mentre la situazione andava via
via degenerando, si apprendeva dell’ultimatum inviato al governo da parte delle
brigate Ezzedine al-Qassam (Hamas) nel quale veniva fissato in poche ore il
termine ultimo per la resa incondizionata, oltrepassato il quale gli uomini del
Partito di Dio avrebbero attaccato frontalmente le istituzioni. Inutili i tentativi di mediazione messi in
atto dal governo egiziano che puntavano ad una tregua immediata. Alle minacce è
subito seguita l’azione e circa 200 guerriglieri si Hamas hanno iniziato a
mettere a ferro e fuoco Gaza City.
Nel corso della giornata di
mercoledì, alcuni miliziani del Partito di Dio hanno fatto saltare in aria una
postazione di al-Fatah (il partito laico) nel sud della Palestina, uccidendo 11
uomini di Abu Mazen. Gli stessi hanno poi dichiarato la zona di loro
competenza, e richiesto la resa degli ultimi uomini di Fatah tramite gli
altoparlanti di una moschea della zona.
A questo punto, stando a fonti
mediche, ci sarebbero stati circa 70 morti negli ultimi tre giorni di scontri,
in più si parla di quasi duecento feriti, molti dei quali in maniera grave. Tra
le vittime anche donne, anziani e bambini.
C’è chi tende a spiegare la
situazione odierna in base a principi politici di parte, secondo Danny
Rubinstein, corrispondente di Hareetz Daily, “l’Autorità Palestinese era
una mera illusione di potere, un’occupazione in guisa di autogoverno e, perciò,
inutile.” Vero è che il partito laico di al-Fatah si è fin dall’inizio
rifiutato di dividere il potere con Hamas e questo nonostante la vittoria
conseguita dal Partito di Dio alle elezioni di gennaio dello scorso anno. É anche vero che gli uomini di Fatah erano stati
messi in guardia dal condividere il potere con Hamas. Praticamente tutto il mondo politico che
conta si era sentito in dovere di dare buoni consigli, non potendo più dare
cattivo esempio. E questi buoni consigli
il partito Fatah li aveva anche seguiti, appunto guardandosi bene dal dividere
il proprio potere con Hamas.
Hamas che ora detiene il
controllo di quasi tutta la Striscia di Gaza mentre gli uomini di al-Fatah
tentano invano di mantenere le restanti postazioni. Intanto c’è già chi, come Avigdor Lieberman
del partito conservatore Israel Beitenu, parla di far intervenire soldati della
Nato. E chi auspica invece un intervento
dell’esercito israeliano. A questa situazione
già grave si deve aggiungere il fatto che tre degli otto ospedali a Gaza sono
fuori uso a causa dei cecchini appostati sui tetti degli edifici e della
scarsità di personale.
Ma come si comporta in tutto
questo Mahmoud Abbas? Oltre ai suoi accorati appelli per un veloce cessate il
fuoco e alle condanne piuttosto banali della situazione attuale, le ultime
indiscrezioni parlano della volontà sua- e dei suoi collaboratori più stretti-
di boicottare il governo tramite il ritiro dei propri ministri. La reazione del Partito di Dio a questa velata
minaccia è stata subitanea, il dirigente Sami Abu Zuhri, ha dichiarato: “Si
tratta di un ricatto politico escogitato per esercitare pressione su Hamas” e
noi “non cediamo ai ricatti.”
Intanto cominciano a rotolare le
prime teste. È successo al direttore generale di al-Jazeera, Waddah Khanfar,
per le sue posizioni filo-Hamas. Secondo
la rivista giordana “Al Majd” dietro a tale provvedimento ci sarebbero
le pressioni politiche degli Usa, oltre che del governo palestinese. Qualcuno in Italia, però, spiega la
situazione di guerra civile in atto proprio con la volontà degli americani
di tenere il Medio Oriente in uno stato
di guerriglia perenne così da poter trarne vantaggi economici.
Proprio alla luce di quanto
successo negli ultimi giorni all’interno della Striscia di Gaza, torna alla ribalta
la quesitone della Cisgiordania, dove la presenza dell’esercito israeliano fa
in modo che le cose siano sotto controllo.
Un eventuale ritiro dell’IDF anche da quella zona, auspicato da molti
ambienti politici sinistroidi in Europa e oltreoceano, consentirebbe infatti ai
miliziani di Hamas di poter scagliare i loro missili qassam (che comunque già
oggi fanno dei gravi danni) non più soltanto verso la cittadina di Sderoth ma
direttamente verso l’aeroporto e anche nel centro di Tel-Aviv.