Che utopia la meritocrazia nel pubblico!
24 Gennaio 2008
di Grozio
Chissà che effetti produrrebbe. Senza dubbio il tasso di disoccupazione subirebbe un’impennata di forte impatto. Proviamo a pensare – sulla scorta di quanto scritto dal Prof. Ichino – se i “nullafacenti” presenti nel settore pubblico venissero improvvisamente collocati in una realtà competitiva dove avanza chi è sostanzialmente più bravo ed efficiente. Dove il lavoro non è una garanzia, ma una missione.
Una realtà ben diversa da quella nella quale per decenni sono stati abbeverati, nutriti, e “coccolati” da uno Stato protettore.
Ebbene, riconosco che la visione è piuttosto utopica, perché nel costume italiano affermazioni di questo tipo accendono gli animi ai sobillatori sindacalisti, e gli effetti sono quelli di un rigetto, ma ci provo ugualmente, se non altro perché la libertà di espressione e un poco di impopolarità possono sempre catturare l’attenzione di qualcuno.
In un sistema meritocratico i nullafacenti verrebbero licenziati. Dunque in un sistema meritocratico vigerebbero dei valori fondamentali: la responsabilità personale anzitutto. Sottolineo responsabilità personale – in contrapposizione ad una responsabilità “organica” – perché solo nella responsabilizzazione dell’individuo un sistema produce benefici che si riversano sulla comunità.
La ragione è molto semplice, lapalissiana: nella misura in cui io individuo dipendente pubblico (ma ovviamente il ragionamento è mutuabile per qualunque professione!) rispondo personalmente di ciò che faccio, avrò un grado di diligenza nell’applicazione che è almeno pari alle finalità che mi propongo, ovvero ai risultati che voglio ottenere.
Una volta applicato questo modello in una realtà organizzata, come una istituzione pubblica, certamente l’attenzione al proprio particolare sarà maggiore in quanto i risultati – premiali o meno, a seconda dei risultati – si riverseranno direttamente nella propria sfera, e di riflesso produrranno effetti positivi sui fruitori dei servizi, i cittadini.
E’ interessante vedere come il bene della collettività passi, pertanto, attraverso la cura, l’attenzione, il senso di responsabilità dell’individuo. Questo presupposto pare inevitabile, perché è nell’individuo che nasce e si sviluppa un’idea, e solo successivamente questa può essere vivificata e accresciuta se accompagnata in joint venture con altra idea. Ma dall’individuo non si può prescindere, in quanto è il principio di ogni azione.
Così nel pubblico impiego una maggiore individualizzazione renderebbe il sistema più efficiente, consentirebbe un drastico taglio alla spesa pubblica, e segnerebbe il passo di un inversione culturale ormai retrograda e fallimentare, quella che ha celebrato il lavoro come fardello garantito e per questo abusato (vedi gli sprechi, i pessimi servizi pubblici in Italia, il loro costo altissimo)…
Fino ad oggi, grazie a 50 anni di statalismo coniugato con una mentalità comunista che non riusciamo ancora a sradicare, l’individuo e la sua sfera di libertà e responsabilità sono stati mortificati, e così di riflesso sono stati mortificati gli effetti plausibilmente benefici che il pubblico (ciascuno di noi nella veste di “consumatore”) avrebbe goduto.
La speranza che partendo dalla propria sfera, nel lavoro quotidiano, si possa tentare di riformare un modello fallimentare che ha prodotto solo danni e che non ha mai pagato per gli errori fatti, è il motivo e lo stimolo per dimostrare l’efficacia di un modello imperniato su libertà e responsabilità.
Sarebbe già un buon punto di partenza, un segnale di cambiamento davvero tangibile.