Chi boicotta il Salone del Libro di Torino  fa il verso ad Ahmadinejad

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Chi boicotta il Salone del Libro di Torino fa il verso ad Ahmadinejad

Chi boicotta il Salone del Libro di Torino  fa il verso ad Ahmadinejad

05 Febbraio 2008

di Fiamma Nirenstein

È micidiale ma anche molto salutare la polemica sul prossimo
Salone del Libro di Torino che, viene confermato dalla direzione insieme a
Elazar Cohen dell’ambasciata, onorerà l’impegno preso con lo Stato d’Israele
nel sessantesimo anniversario della sua nascita di avere lo Stato Ebraico come
ospite.

Micidiale per vari motivi: gli oppositori duri della scelta di invitare lo
Stato Ebraico come ospite nel suo sessantesimo anniversario si sono scoperti
usando argomenti belluini e miserabili, minacciando e mentendo, ridicolmente
indicando nello Stato di Israele una banda di persecutori, di assassini; si
sono dimostrati ciechi di fronte alla resurrezione del popolo ebraico dopo la
Shoah e dopo tanti anni di diaspora; ignorano l’aggressione che Israele, sempre
pronta a condividere il territorio spartito dall’Onu, subisce dal 1948, e della
colpevole stupidità con cui i palestinesi hanno sempre rifiutato ogni proposta
di pace. Dicono un sacco di sciocchezze con tono di sicumera, e ci danno così
la misura di quanto sia stato a forza di urla inconsulte e di disinformazione
che in Italia si è diffuso il discorso politico che ieri si collegava al
rifiuto arabo filosovietico, oggi prende le mosse da Ahmadinejad, Hamas,
Hezbollah, Al Qaida; di fatto è in nome di una serie di bugie (come quella
ripetuta ad nauseam che Israele, che di fatto l’ha sgomberata, “assedi” Gaza
che invece in realtà assedia la popolazione civile israeliana con missili e
attentati come quello di ieri) che lo schieramento anti Salone indica Israele
come spazzatura della storia. L’Occidente deve prepararsi alla prossima
scomparsa di Israele, dice Ahmadinejad; qui da noi, chi indica come lebbrosi i
suoi intellettuali, ne segue le tracce.

 L’odio emerge, quel che è peggio,
travestito da amore per i diritti umani, e nessuno degli indignati pensa di
opporsi alla prossima scelta del Salone per Egitto, o, che so, alle Olimpiadi
in Cina. Oltre alla scia dell’odio, ce n’è anche un’altra che, come una bava di
lumaca ha segnato questo dibattito: è la posizione di chi dice, dopo qualche
ovvietà sull’importanza dello scambio culturale, che gli scrittori israeliani
non sono Olmert, che sono artisti, anzi, artisti di sinistra, e che quindi non
sono responsabili delle scelte di Israele. Intanto, questo mette automaticamente
al bando gli intellettuali israeliani non di sinistra, scelta quanto meno
bizzarra quando si parla del ruolo universale della cultura. Ci sono ottimi
intellettuali israeliani su ambedue i versanti politici, come in America, o in
Italia, e là, come in ogni altro Paese con una storia profondamente legata a
quella del loro Paese. Chi ha letto i libri di Oz, Yeoshua, Grossman, sa quanto
anche questi autori siano alla fine dei patrioti, cosa indispensabile in uno
stato assediato. E poi, che ha fatto di male il povero Olmert, che cerca
disperatamente come tutti i suoi predecessori quell’accordo di pace che è
invece il mondo arabo a non voler concedere? Qualcuno si ricorda quante ne sono
state dette su Begin, su Rabin, su Barak, su Sharon, tutta gente che alla fine
altro non ha fatto che tentare invano il sogno di Israele, quello di cedere
territori in cambio di pace? La mentalità per cui da noi si legittima soltanto
“l’altra Israele” è proprio la menzogna che consente all’odio di riempire la
propria faretra di frecce infuocate, e al mondo arabo di comportarsi
irresponsabilmente.

Ma dicevamo, c’è stato anche un aspetto assai positivo nella vicenda: si è
finalmente mostrato un universo che alle cene o nei dibattiti è sempre molto
timido, e che invece esiste, sembra, anche a sinistra: quello di chi ritiene
ridicolo, comunque, criminalizzare Israele in toto. In parecchi, compreso il
sindaco di Torino Sergio Chiamparino o l’on. Piero Fassino, hanno mostrato il
petto nello scontro, coraggiosi islamici come Magdi Allam e Khaled Fouad Allam
hanno fatto sentire la loro voce dicendo una cosa che deve entrare nella
coscienza comune urgentemente: Israele è oggi un punto centrale nel dibattito
internazionale, non è permesso ripetere formule cretine, nessuno può dirsi
civile se non parte dalla piena cittadinanza intellettuale e civile a quel
piccolo Paese che fondò prima la Filarmonica e l’Università e poi lo Stato, e
che celebra quest’anno solo 60 anni tormentati da guerre indesiderate.