Chi brinda al compagno Tsipras ha fatto male i conti
29 Giugno 2015
Lasciamo stare la diatriba tra innocentisti e colpevolisti, se cioè sia più intransigente la ricca Germania o la povera Grecia che non vuole scendere a compromessi, Merkel o Tsipras, se la colpa è tutta del rigore teutonico o dell’incapacità ellenica a riformare economia e istituzioni. Sul tema si esercitano ormai da anni diverse scuole di pensiero e contrapposte ricette di politica economica che oggi troviamo esposte per sommi capi negli editoriali apparsi sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani.
Se stiamo alla cronaca, i prossimi saranno giorni di frenetiche consultazioni, come si dice in gergo quando non è chiaro dove si va a parare, linee telefoniche roventi tra stati, governi e continenti, mentre ci si prepara di nuovo a dormire con un occhio mezzo aperto per paura che lo spread torni a salire. In questo lunedì di attesa con i nervi a fior di pelle, le Borse europee hanno già bruciato 340 miliardi. Tutto può accadere, nei quartieri popolari di Atene pare abbia ripreso già a circolare la dracma, ma in fondo il Pil di Atene incide poco su quello europeo, il rischio del contagio almeno per chi ha conti a posto e riforme fatte o avviate, appare limitato, la Grecia sommersa dai debiti sarebbe già fallita da tempo senza gli aiuti e l’intervento della Ue e della Bce. Altro che “nuova era”, una vittoria del fronte antieuro al referendum annunciato da Tsipras potrebbe risolversi in una bolla di sapone.
La Grecia si sta consegnando all’isolamento, stretta tra le montagne balcaniche che le impediscono un margine di manovra a nord e il suo tradizionale spazio vitale, le isole, il mare, dove il turismo appare sempre più in crisi, arrivano sempre più immigrati, e bisogna difendersi dall’espansionismo neo-ottomano. Si spera in Putin o nella Cina e verrebbe da commentare a questo si sono ridotti dopo anni di malapolitica. Perché nel quadro sconfortante appena descritto ad emergere in Europa come un macigno è ancora una volta la questione politica. Eravamo o dovevamo essere un continente che dopo due sanguinose guerre mondiali superava il concetto di frontiera tra gli Stati membri e invece stiamo ripiombando in una situazione dove si congelano i depositi bancari per timore di una fuga dei capitali e ci si prepara a rialzare muri, dogane e tariffe per bloccare merci e beni dei Paesi più forti, Germania in testa.
A prevalere, da una parte e dall’altra, è l’interesse nazionale, il nostro piccolo, misero pezzo di terra, come lo chiamava il Colonnello Kurtz perso nel Cuore di Tenebra. Negli USA, texani e newyorkesi sono gente molto diversa tra loro ma sanno bene che se una crisi si abbatte sugli stati americani bisogna agire insieme per affrontarla e risolverla. Nella storia dell’Europa unita non è mai stato così, su nessuno dei temi che fanno una vera agenda comune si procede uniti e compatti. Per cui va accolto positivamente, anche se in extremis, l’appello del presidente della commissione Juncker, che si dice pronto a "chiedere ai greci di votare sì" ai piani europei. E’ la prima volta che un leader dell’Unione si appella all’opinione pubblica di uno degli stati membri in contrasto con il Governo in carica. Se Juncker avesse una vera legittimazione democratica, fosse forte del voto popolare, la sua richiesta avrebbe anche un valore più forte.
Chi brinda al coraggio del compagno Tsipras, al particolarismo sinistro di Atene, e cioè i vari leghisti, grillici, podemos, il vasto fronte degli euroscettici e degli eurofobici che non vede l’ora di riavere monete e confini nazionali, sappia che se questo scenario dovesse realizzarsi, se a riemergere saranno le piccole patrie, le identità nazionali, i microscopici Stati nazione europei con i loro frastagliati e un tempo insanguinati confini, l’Europa sarà condannata come la Grecia alla totale irrilevanza politica ed economica a livello internazionale, prima i Pigs e i paesi periferici dell’Unione, poi tutti gli altri. Per l’Italia, significherebbe con tutta probabilità il definitivo spezzarsi dell’unità nazionale, tra un Nord sviluppato destinato a essere risucchiato nell’area di influenza tedesca (il giusto contrappasso per chi se la prendeva tanto con Berlino) e il Mezzogiorno abbandonato a se stesso, sognando come forse stanno facendo i greci un ridicolo miracolo economico a base di bed and breakfast, pescatori, olio, limoni e svalutatissimi biglietti da centomilalire.