Chi difende Polanski ha nostalgia del permissivismo sessuale degli anni ’70
04 Ottobre 2009
Oggi il manifesto pubblica un lungo articolo dedicato al “caso Polanski”, il celebre regista che ha confessato di aver stuprato una tredicenne negli anni Settanta, sfuggendo da allora al verdetto della giustizia. Dopo aver giudicato “irrazionale” la decisione dei tribunali americani di chiedere l’estradizione del regista (che si trova agli arresti in Svizzera), la giornalista del manifesto aggiunge che gli Usa cercano semplicemente “vendetta” e che stanno “dando la caccia” a un genio del cinema.
L’autrice se la prende anche con un editoriale apparso su The Nation, dove si criticavano “i peccati morali e di superbia della elite hollywoodiana, tesa solo a proteggere se stessa” (la gilda hollywoodiana ha diffuso una petizione chiedendo il rilascio di Polanski, ndr). Commento del manifesto: “a volte, una elite intellettuale che dogmatizza e snocciola predicozzi, in nome dei ‘deboli’, è uno spettacolo ancora più difficile da digerire”. Chiedere giustizia per lo stupro di una tredicenne, dunque, sarebbe il solito predicozzo da moralisti.
Che l’infanzia e la vita di Polanski siano state degne dei suoi film più drammatici non ci piove, ed è possibile che eventi come la madre morta ad Auschwitz, e l’omicidio della moglie Sharon Tate incinta di otto mesi per mano della Famiglia Manson, lo abbiano seriamente traumatizzato. Ma tutto ciò non lo discolpa visto che il regista è uccel di bosco dal 1978.
Per almeno 30 anni, dopo lo stupro, Polanski ha vissuto confortevolmente in Francia, un Paese che si è sempre rifiutato di estradarlo negli Usa. In altri casi ha evitato la cattura: è successo a Londra e in Canada alla fine degli anni Settanta, in Germania, Danimarca, Svezia e Brasile, alla fine del decennio successivo. Nel 2005, in Thailandia. Nel 2007, durante un viaggio in Israele, lo stato ebraico chiese maggiori informazioni sullo stupro all’attorney di Los Angeles, ma Polanski si era già volatilizzato. Il regista ha anche avuto la possibilità di tornare negli Usa dove lo aspettava un giudice disposto a rivedere tutte le carte del processo e a contestualizzarle ma Polanski si è rifiutato.
In Svizzera invece le cose sono andate diversamente ed è scattato l’arresto per pedofilia. Non sappiamo come altro definirlo lo stupro di una tredicenne. A differenza del manifesto, crediamo che il reato vada ancora punito. Senza ordalie o leggi del taglione, piuttosto riflettendo sulla cornice sociale e culturale che fece da sfondo allo stupro: i ‘maledetti’ anni settanta, fatta di “sballi” e permissivismo sessuale, tanto meglio se nel mondo delle celebrità. E’ stato proprio a quell’epoca che la sinistra americana ha abdicato a suoi valori, e l’articolo apparso sul manifesto è un prodotto (scaduto) di quella malintesa “tolleranza” verso gli stili di vita più estremi e in fin dei conti devianti.
Ognuno di noi può redimersi, tanto più una persona intelligente come Polanski. Ma il primo passo verso la redenzione è assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Una cosa che il regista fino ad ora non ha fatto. Invece di versare mezzo milione di dollari alla sua vittima come risarcimento, affronti un giudice accettando il verdetto della legge.